Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XVII - Cap. 12: Premonizioni  (Letto 1170 volte)

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Figli dell'Ultima Alba XVII - Cap. 12: Premonizioni
« il: Marzo 25, 2012, 09:42:06 pm »
Buona lettura!!

12
Premonizioni


Dagli scuri socchiusi strisce di polvere dorata si allungano attraverso la stanza, irradiando i massicci spallacci adagiati sul baule.  L’aria pungente del Nord era carica del profumo della neve de della fragranza della salsedine.  Nella penombra, con le spalle alla parete e lo sguardo fisso alla scrivania oltre il letto al baldacchino dove dormiva ormai da settimane, il sovrano rifletteva.  La gamba destra distesa, sulle candide lenzuola, la sinistra piegata.  Immobile.
Il richiamo di un gabbiano, seguito dalla risposta di un secondo lo destarono da cupi pensieri attirando la sua attenzione, così spostò il suo sguardo dal dispaccio adagiato sulla scrivania alla sua spada, riposta nel prezioso fodero finemente lavorato, adagiata sulla sedia poco più in là. 
Il sovrano socchiuse gli occhi e si passò la mano callosa trai capelli fulvi: gli piaceva la sensazione dei suoi capelli liberi sche gli scorrevano tra le dita, poi espirò rumorosamente e fissò gli schinieri allacciati già da una diecina di minuti. Avrebbe dovuto essere in piedi già da un pezzo, sicuramente in parecchi si stavano chiedendo dove fosse in un momento così importante, eppure era come incatenato a quel letto a baldacchino, invischiato in una dimensione ibrida a metà tra il sonno e la veglia.
Scosse il capo con decisione e ringhiò la sua rabbia e con un balzo si mise finalmente in piedi facendo cigolare il materasso del suo letto.   Fece due passi decisi verso lo specchio e fissò la sua figura nella sua interezza.  Sorrise soddisfatto: nonostante i suoi allenamenti senza Bolvar fossero estremamente meno efficaci, il suo tono muscolare, ben in evidenza sotto la semplice maglietta bianca che portava, non pareva averne risentito.  Posò il suo sguardo vigile sulla testa di leone stilizzata all’altezza del petto poi salì superando la cicatrice che col suo naso descriveva una singolare croce per poi incrociare il suo stesso sguardo.  Il sorriso si tese per sparire poco dopo del tutto sostituito da un espressione risoluta. 
Re Varian Wrynn sapeva bene le decisioni che avrebbe preso quella mattina e anche se sentiva un’oppressione crescente al centro del petto, nulla, neppure se la morte in persona avesse deciso di farglo visita, nulla in questo mondo come nell’altro avrebbe intaccato la sua volontà e alterato le sue decisioni.   
Afferrò con un gesto di stizza il laccio di cuoio adagiato sul tavolino rotondo a destra dello specchio a torre e si legò i capelli in una coda di cavallo, quindi tornando a fissarsi negli occhi ruggì ai fantasmi che dalla notte prima tormentavano il suo sonno:
- Vincerò io! – poi afferrato il calice di vino dallo stesso tavolino dove la notte prima aveva lasciato il suo laccio, bevve ciò che restava tutto d’un fiato prima di scagliarlo contro lo specchio con un ruggito degno del più feroce dei leoni e a larghe falcate lasciò i suoi alloggi.

* * *

Thrall descrisse un arco con la sua ascia deviando l’ascia di Dranosh Saurfang e guadagnando velocità.  Con una torsione del busto assecondò la traiettoria della sua arma compiendo una giravolta che lo riportò di fronte al suo avversario e urlando lo colpì con una testata facendolo traballare, ma Saurfang il giovane non era uno sprovveduto e la sua forza e il suo valore erano ben noti al Signore della Guerra così, nonostante il momentaneo vantaggio, non lo sottovalutò incalzandolo invece, alzando e calando la sua arma prediletta tentando di sfruttare quel varco nella sua difesa.   Saurfang fece uno, due passi indietro, quindi con un salto guadagnò la distanza e passatosi una mano sulla fronte sanguinante attingendo a tutta la sua rabbia caricò il suo signore fingendo un assalto frontale, ma all’ultimo istante arrestò la sua corsa aspettando l’ennesimo affondo di Thrall che così si ritrovò scoperto e sbilanciato.   Saufang ghignando soddisfatto non si lasciò sfuggire quella ghiotta occasione e calò la mazza sulla schiena protetta dall’armatura del signore di Ogrimmar schiacciandolo a terra.
- Sapevo che lo avresti fatto! - disse Thrall scoppiando in una fragorosa risata mentre si rimetteva in piedi.
- E allora perché? – chiese l’altro orco dubbioso.
- Per essere colpito ovviamente. –
Saurfang sporse il labbro inferiore verso l’esterno e scosse il capo.
- Spiegami. -
Thrall si avvicinò al suo generale e afferrata la sua spalla destra lo fissò dritto negli occhi:
- Mai dimenticare cosa sia il dolore.  Quando dimentico cosa significhi soffrire per un colpo diretto, abbassi la guardia e quando questo accade in battaglia sei morto.  Di tanto in tanto è importante subire perchè una frustata di tanto in tanto vale più dei consigli di mille mentori. -
- Sei saggio, mio signore. –
- Sei valoroso, giovane Saufang. –
Thrall strinse con forza la spalla del compagno prima di alzare lo sguardo, sentendosi improvvisamente osservato.   Dal primo piano della cittadella di Valiance un uomo che conosceva bene aveva osservato il suo duello con le braccia incrociate sul petto.
Mai come in quel momento Thrall, il signore della guerra, sovrano di Ogrimmar e comandante in capo di tutti gli orchi di Azeroth avrebbe voluto conoscere la magia.  Avrebbe infatti dato un braccio per portare indietro il tempo e ricominciare l’allenamento appena concluso invertendo i ruoli: Saurfang affacciato al balcone a osservare lo scontro; Varian di fronte a lui… e chiaramente avrebbe scelto di ripassare cosa fosse il dolore solo in un secondo momento, dopo aver steso al suolo il alleato di adesso, nemico di sempre.

* * *

Il gelido vento del Nord spirava lungo la distesa innevata trasportando cristalli ghiacciati con sé e scagliandosi contro di lui.  Sollevò il ginocchio fin quasi sopra al petto per superare la coltre di neve nella quale affondava il piede, lo spostò in avanti e lo riaffondò, sprofondando quasi fino al ginocchio. Un altro passo, un altro ancora.
I suoi stivali, un tempo raffinati, ora erano logori, consumati dalla lunga, estenuante marcia. 
Dopo il sinistro, fu il turno del destro: non senza sforzo, anche se non lo dava a vedere, liberò dal freddo abbraccio della coltre nevosa il piede portandolo in alto, per poi lasciarlo cadere e sprofondare a sua volta.   In quel momento si accorse che alla sua caviglia era stretto un anello di acciaio scuro, un anello seguito da un secondo, ed un terzo,

una catena

e chissà poi quanti altri, tirata da dietro di lui.
Lentamente posò la sua attenzione dalla neve alla pesante pelle d’orso che avvolgeva l’imponente figura e, poco dopo, al suo viso: una barba lunga curata e piena, ora simile ad un reticolo di filo spinato tessuto nel ghiaccio; una pelle arsa da un sole invisibile sopra le bianche nubi immobili sopra la sua testa; un naso aquilino che spiccava su due labbra secche, ma un tempo

Lo sapeva

carnose.
I suoi occhi neri erano stanchi, ma ancora penetranti e intelligenti.   Una fronte spaziosa e attraversata da lunghe e profonde righe lasciate dal tempo.   Folti capelli grigi ondeggiavano scossi dal vento, ma tenuti a freno dalla pesante corona che la figura

Il Re!

Portava con fierezza: una pesante corona di ghiaccio.

Icecrown!

Il sovrano fissò dritto davanti a sé, aggrottando la fronte e stringendo le labbra, poi si voltò verso il soldato incatenato a lui che lo seguiva: la sua casacca era strappata in più punti e macchiata di sangue e terra in molti altri.  Sbuffi di quello che un tempo doveva essere un disegno di un qualche tipo resistevano alle ingiurie del tempo in pieno petto, mantenendo parte delle forme che un tempo abili sarti avevano cucito per lui.  Un animale, un

Leone

disegno raffigurante una forma ormai indistinta, annichilita, erosa.
Il sovrano fissò il soldato dal viso scavato e provato, quindi la donna alle sue spalle, una nobile dagli abiti purpurei rifiniti d’oro e un nano dall’area familiare

Borgus Mano d’acciaio

alle sue spalle e poi il bambino che non poteva avere più di dieci anni ed l’ennesimo soldato dietro di lui e a colui che lo seguiva e l’anziano e corpulento prigioniero incatenato al vecchio.   Il sovrano socchiuse gli occhi per ripararsi dal vento e contemplò la fila infinita di prigionieri che a partire da lui, come un macabro serpente variopinto nella neve, si allungava sparendo per un attimo dietro una depressione del terreno, per riprendere poco più indietro, zigzagando a perdita d’occhio, confondendosi all’orizzonte.
Contemplata la portata dello spettacolo che aveva di fronte, il sovrano sorrise e tornò a fissare davanti a sé, ma non aveva più una folta barba che gli incorniciava il volto e la sua pelle non era più rugosa e arsa dal tempo, quanto piuttosto quella liscia di un uomo nel pieno del proprio vigore; non aveva più un grosso naso aquilino, quanto un affusolato naso interrotto da una profonda cicatrice orizzontale, non aveva più grigi capelli liberi e lunghi, quanto una coda di cavallo.   Il sovrano fissò con due occhi stanchi e rassegnati proprio il guerriero che a sua volta lo osservava da tempo.

Colto da un terrore folle, Bolvar Fordragon si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore.

Lord Bolvar stringeva con le mani il lenzuolo bagnato e aveva il fiato corto: conosceva Varian da anni, da quando era un ragazzo e non aveva mai neppure immaginato di poter leggere una simile espressione nei suoi sprezzanti occhi fieri.   La penombra dell’alba ricacciata all’esterno dagli scuri serrati gli dava il voltastomaco.  Lord Bolvar inspirò a fondo ed espirò lentamente l’aria cercando di riprendere il controllo di se stesso e quando realizzò di essere finalmente in grado di apparire agli occhi dei soldati della fortezza atterrito la metà di quanto in realtà lo fosse, lasciò i suoi alloggi e si diresse direttamente al centro comando.   Non aveva un attimo da perdere. 
Quasi di corsa e non badando al protocollo interruppe l’ammiraglio MacBride della flotta di Stormwind e oscurò senza troppi complimenti l’ambasciatore darnassiano frapponendosi tra l’elfo e l’ammiraglio.
- Voglio una nave, la voglio veloce e la voglio adesso. -
- Chiedo scusa, Lord Fordragon? – sussurrò l’elfo contrariato.
Bolvar si tormentò per un attimo i baffi fulvi, quindi lanciò un’occhiataccia all’elfo alle sue spalle da sopra la spalla.  L’ambasciatore comprese l’antifona e si allontà mestamente.
- Ma che diavolo ti prende, prima piombi qui come un pazzo e poi fai una richiesta da pazzo per davvero! -
- George, mai stato più serio.  Mi devi far partire e devi far in modo che raggiunga La Cittadella di Valliance in tre settimane al massimo. –
- Tre settimane? –
- Se hai una soluzione per farlo in meno, sono pronto a valutarla. –
L’Ammiraglio tamburellò con le dita sul tavolo al centro della sala per qualche secondo, poi piazzò il grosso dito rosso dalle unghie gialle, colorate dal fumo, su Winterpring.
- Non ti chiedo neppure perché hai tanta fretta di raggiungere Varian, ma se devi farlo e non ti interessano le eventuali complicazioni, un modo forse ci sarebbe.  Vai alla Torre dei Maghi e teleportati a Darnassus, da lì un grifo per Winterspring.  Secondo me in un paio di giorni dovresti farcela.  Per allora farò in modo che un mio vecchio amico saldi un altrettanto vecchio debito.  Partirai a bordo di una Zeppelin modificata per atterrare sull’acqua.  Fin quando possibile volerai poi procederai a motore in mare. -
- Ottimo, ma sapevo che le correnti del Maelstrom impedivano il volo prolungato, questa tua Zeppelin può ignorarle? –
L’ammiraglio George MacBride sorrise e si accese un grosso sigaro che teneva nel taschino della sua uniforme.
- Assolutamente. E’ per questo che la Zeppelin può anche prendere il mare e poi, come tu stesso hai appena detto: il Maelstrom impedisce viaggi prolungati via cielo… dubito che una macchina volante orchesca modificata da uno gnomo possa volare così a lungo da definire il suo volo “prolungato”. -
* * *

Il principe Anduin Wrynn era assorto nella lettura quando il suo amico Bolvar bussò alla porta e chiese udienza.  Aveva vegliato sul piccolo principe quando Varian era scomparso ed anche negli ultimi mesi, quando il Re aveva dato il comando al piccolo principe per il tempo necessario alla campagna militare al Nord, Bolvar era stato segretamente incaricato di vegliare su Stormwind, in sua assenza, proprio come ai vecchi tempi.  Ora, per la prima volta, Lord Bolvar Fordragon avrebbe disobbedito ad un ordine.
- Bolvar!, oh, volevo dire: Lord Fordragon.  Mi aggrada e rasserena la sua visita. A cosa la devo però?... Odio parlare così formalmente con te! -
- In tutta onestà, mio principe, detesto le formalità.  E’ uno dei motivi per cui vado d’accordo con Re Magni e un po’ meno con Lady Tyrande. –
- Come darti torto, buon Bolvar! Sto leggendo un interessante saggio sulla creazione, se vuoi posso parlartene! –
Bolvar si incupì, quindi prese una sedia e si sedette di fronte al ragazzo.
- Mio principe, ti ho servito nel passato e ti servirò sempre, questo lo sai.  Ti ho guardato con orgoglio affermarti a corte e nel clero.  Godi della stima dell’arcivescovo e i soldati ti obbediscono.  Sei pronto.-
- Pronto, Bolvar? Per cosa? –
- Per essere reggente. –
Il ragazzo fissò Bolvar coi suoi intensi oggi grigi, ma non disse nulla.
- Devo partire, Anduin, devo partire immediatamente. -
- Capisco. –
- Sarà dura, ma tu sei un Wrynn e a dispetto di quanto tu pensi di te stesso, sei un leone, un leone nel petto proprio come Varian… e non è necessario sbranare una preda per averne ragione. –
Anduin si alzò in piedi e avvicinandosi a Bolvar disse con voce ferma:
- Il Creatore veglierà su di me così come i miei avi.  Proteggerò Stormwind fino al ritorno tuo e di mio padre. -
Gli occhi di Bolvar si riempirono di lacrime.
- Così parla un sovrano. - poi si inginocchiò e Anduin Llane Wrynn posò la destra sul capo del vecchio soldato.
- Puoi andare, figlio di Stormwind e riporta mio padre indietro con te. –
- A costo della mia vita, mio re. –

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren