Autore Topic: Figli dell'ultima alba XXXV - Capitolo 26: Fratellanze  (Letto 1144 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
  • Epico
  • ***
  • Post: 8031
  • Karma: -17
  • Chi sono dei due? :D
    • Mai dire di no al panda!
Figli dell'ultima alba XXXV - Capitolo 26: Fratellanze
« il: Giugno 30, 2015, 05:08:44 pm »
26
Fratellanze

Scortato da quattro guardie armate di tutto punto, attraversò il campo seguito dagli occhi increduli degli uomini, dal disgusto degli elfi, una rabbia tutt'altro che celata o velata dei non-morti, sguardi di sfida di orchi e elfi del sangue.  Era rimasto nell'ombra dopo la caduta della cittadella, sotto chiave e sotto scorta giorno e notte.  Era una risorsa, era pericoloso e per entrambi i motivi il generale Masters non aveva voluto che avesse contatti con il resto dell'esercito.  Ora però lo mandava a chiamare e non c'era altro modo per raggiungerlo che attraversare parte della gigantesca tendopoli che occupava gran parte dell'area fuori Guardiainverno. 
Le voci sul cavaliere della morte si diffusero rapidamente e quello che era un ospite praticamente segreto, divenne improvvisamente l'argomento di discussione principale di ogni soldato, graduato o semplice logista dell'esercito accampato fuori dalla città.
Il suo ingresso nella tenda del consiglio non fu da meno: Luther tradì per la prima volta le proprie emozioni o, comunque, quanto restava di esse.  Quando il gigante entrò, lasciandosi cadere il cappuccio sulla schiena, si alzò in piedi sibilando, si appoggiò al suo bastone nodoso e lo fissò umettandosi continuamente le labbra.
Devin afferrò il simbolo sacro che portava al collo con la sinistra e con la destra, lentamente, sfiorò l'impugnatura della sua arma; qualcosa del genere fece Brakgul che, senza troppi complimenti, afferrò le due asce che portava assicurate alla cintura puntandole verso la creatura.
McRonin, pur sapendo di chi e cosa si trattasse, rimase impietrito sul posto.
- Molto bene, guardie, potete lasciarci. - disse il generale Masters, indicando una sedia vuota al nuovo arrivato.
- Preferisco stare in piedi. - rispose il non-morto fissando coi suoi occhi lampeggianti dell'azzurro tipico della non-morte il generale.
- Molto bene, confido che voi altri invece riprenderete posto.  Siamo ad un consiglio di guerra qui. - ordinò Masters e, seppur riluttanti, i suoi interlocutori tornarono al tavolo.
- Può dirci il suo nome? -
Il non-morto incrociò le braccia muscolose sul petto, quindi rispose con voce profonda e distorta da una eco persistente.
- Mi chiamano Colèra. -
- Rassicurante... - sussurrò McRonin senza guardare negli occhi l'informatore.
- Mi è stato riferito da Lady Lenore e da uno dei nostri ufficiali sul campo, Dyanor dei Templari Neri, che negli ultimi mesi e, principalmente, nelle fasi finali della pianificazione della campagna militare di Naxxramas, ha fornito continue informazioni cifrate al comando ribelle di Guardiainverno, contribuendo in modo sostanziale alla buona riuscita di decine di missioni, riducendo i caduti nella Resistenza e, soprattutto, mi riferiscono che dobbiamo a lei il danneggiamento del cristallo centrale della Cittadella di Kelthuzad, mossa, questa, che ha impedito a Naxxramas di spostarsi durante il nostro attacco. E' corretto? -
- Sì.  Abbiamo pianificato l'azione con Lenore. -
Masters annuì e scambiò alcuni sguardi eloquenti con gli altri intorno al tavolo.
- Perchè? - chiese d'un tratto Luther.
- Non credo sia rilevante il perchè, conta piuttosto ciò che ha fatto. - rispose per lui Masters.
- No, voglio sentire. - disse Brakgul, mentre anche Devin annuiva.
Il generale allargò le braccia e fece cenno di rispondere.
- Sono parte della fratellanza della Lama d'Ebano, un gruppo di cavalieri della morte fuori dall'influenza del Re Lich; per essere precisi, abbiamo rotto le catene con le quali ci controllava grazie alla guida del nostro generale Dorian Mograine.  Siamo non-morti, nati schiavi come tutti i non-morti, e fissò Luther intensamente, ma ora combattiamo la nostra guerra liberi.  Colui che ci ha fatto questo è il motivo per cui combattiamo e il nemico principale che abbiamo da sempre.  Mi sono infiltrato in Naxxramas perchè era collocata in una posizione strategica e, soprattutto, perchè il generale Mograine voleva saperne di più sull'attività e gli esperimento svolti dal luogotenente di Arthas. La vostra venuta nelle Northerend, poi, è stata l'opportunità che aspettavamo per colpire il nemico con maggiore forza di quanto non fossimo mai riusciti a fare. -
- Credo sia sufficiente. - tagliò corto l'ammiraglio McRonin.
- Veniamo al motivo per cui la ho fatto chiamare. - iniziò il generale Masters senza dare il tempo agli altri presenti di intervenire, facendogli perdere ulteriore tempo prezioso.
- Il Progetto, il piano principale con cui sconfiggere il nemico di entrambi è purtroppo fallito.  Questo però non intacca la nostra determinazione a completare la missione prefissata, l'unica differenza col piano iniziale è che dobbiamo raggiungere Arthas direttamente alla Cittadella di Icecrown. -
Il cavaliere della morte si sedette lentamente.
- Fallito? Come. -
- Non ha importanza, puoi aiutarci? - chiese il paladino sporgendosi sul tavolo, dopo aver piantano le mani su di esso.
- Piuttosto, vuoi aiutarci? - gli fece eco il non-morto.
Colèra si passò una mano sul mento, accarezzandosi la lunga barba che terminava con un pizzo affilato quanto la sua spada.
- Cosa dovrei fare? -
- Come dicevo dobbiamo portare Arthas fuori dalla cittadella che stringeremo d'assedio.  Quello che ci occorre sapere è: primo.  La fratellanza d'ebano sarà al nostro fianco? Possiamo aspettarci dei rinforzi quando raggiungeremo Icecrown? Secondo: tu, Mograine o chi per voi, avete informazioni utili per il raggiungimento dello scopo, per strappare Arthas alle mura della sua capitale? -
Il non-morto si concentrò qualche attimo, quindi annuì, colto da un pensiero improvviso.
- La fratellanza segue gli ordini di Dorian Mograine. Dovrò conferire con lui, ma ritengo di avere argomentazioni e soprattutto, come dicevo, siete l'opportunità che aspettava. Non negherà le sue forze alla battaglia.  Per quanto riguarda far uscire Arthas... è semplicemente impossibile. -
Brakgul sgranò gli occhi.
- Allora sei inutile! - ruggì.
- Questo non vuol dire che il piano non possa funzionare al contrario. - continuò come seguendo il discorso di poco prima, senza neppure registrare la violenta obiezione dell'orco.
- Spiegati. - sibilò Luther.
- E' impossibile costringere il Re Lich a lasciare il suo palazzo. Anche sotto assedio, rimarrà al sicuro, dietro le mura della cittadella.  Possiamo però entrare nella cittadella ed affrontarlo direttamente. -
Il generale Masters tamburellò sul tavolo.
- Se ci muovessimo in massa se ne accorgerebbe però. -
- Precisamente, la sua attenzione dovrà essere focalizzata sui cancelli principali di Icecrown e nel frattempo... -
-... un numero ristretto dei nostri migliori uomini si infiltrerà nella cittadella e gli darà la caccia, cogliendolo di sorpresa. -
- Ottimo piano, peccato che non credo si possa bussare alla porta di servizio di Icecrown! - obiettò McRonin tamponandosi la fronte ormai madida di sudore.
- Bussare no, ma vi è un ingresso segreto che Mogaine utilizzò in passato.  Solo lui lo conosce, lo sanno tutti i suoi cavalieri, ma nessuno ne conosce l'ubicazione. -
- Può funzionare. - pensò ad alta voce Masters.
- Affronteremo le sue legioni faccia a faccia, mentre il Re traditore sarà sconfitto da un sotterfugio degno di lui. Interessante. - disse Luther.
- Brakgul entrerà! -
Masters scosse il capo.
- Come osi? -
- La tua capacità di comando e, soprattutto, la tua funesta furia in combattimento che hai dimostrato durante la battaglia di Naxxramas ti rende l'ufficiale ideale per guidare le forze terrestri nella piana.  Tu comanderai ed affronterai le legioni di Arthas sul campo, il tuo ruolo in questa guerra sarà cruciale.  Averti nelle ombre in un gruppo di incursori, non gioverà all'esito finale della guerra. Spero comprenderai e ti farai carico di questa importante responsabilità. - gli rispose solenne Masters con rispetto sincero.
L'orco soppesò le parole, quindi annuì.
- E sia. -
- Porterai un messaggio da parte mia a Mograine e partirai all'alba di domani. -
- Molto bene. - rispose Colèra.
- Considerati libero di andare dove tu voglia, seppure ritengo più saggio tornare sotto scorta. Godi di popolarità tutt'altro che positiva. -
- So difendermi, grazie. - e senza aggiungere altro, lasciò la tenda del consiglio.

* * *

Aveva disertato i festeggiamenti quasi da subito, declinando educatamente le proposte dei suoi compagni di battaglia finalmente ritrovati e si era isolato nella sua tenda.
Si era dato una ripulita, si era fatto la barba accuratamente, si era tolto l’uniforme per indossare gli abiti di missione che aveva utilizzato quando semplice membro dell’SI:7, sistemate le armi, sistemato l’equipaggiamento.  Chi lo avesse visto in quello stato, avrebbe sicuramente pensato che stava per lasciare il campo per dirigersi in una qualche missione segreta e questo qualcuno non sarebbe stato così lontano dalla verità.  Era in missione. Era una missione segreta, ma non stava eseguendo gli ordini di nessuno.
Si specchiò nello specchietto da campo un’ultima volta, quindi inspirò rumorosamente due, tre volte, per cercare di calmare il battito del suo cuore impazzito.  Era ansia quella che provava e l’ansia non si addiceva ad una spia dei servizi segreti.
Attraversava il campo di ombra in ombra, come fosse in territorio ostile, evitando di intercettare guardie, compagni, alleati e potenziali minacce all’incarico che si era affidato.  Niente e nessuno si poteva frapporre tra lui e la sua missione e non avendo voglia di finire alla corte marziale per aver disobbedito un ordine diretto, la via delle ombre era sicuramente la più sicura… per tutti.
Le voci dell’informatore che attraversava il campo lo avevano raggiunto poco prima. Sapeva bene di chi si trattasse, non vi era che un informatore che potesse destare tanto chiacchiericcio e timore e quell’informatore preso avrebbe ricevuto visite. 
Si appiattì dietro ad un carro, lo aggirò senza respirare, quindi si fiondò in una tenda vuota ed attese che un gruppetto di giovani soldati evidentemente alterati dall’alcool lo superasse.
Attese ancora qualche attimo, quindi sbirciò e assicuratosi di non essere visto, riprese a muoversi nella gigantesca tendopoli.
Aveva saputo che l’informatore era stato tenuto al riparo da sguardi indiscreti (di nemici e potenziali tali) nell’area di detenzione, ma che di recente l’aveva lasciata.  Ora, si vociferava, fosse ritornato da quelle parti, così da lì avrebbe iniziato, così dovette trattenersi da gridare, quando vide una gigantesca figura tutt’altro che amichevole, che affilava il suo gigantesco spadone a due mani dalle rune lucenti nel piccolo spiazzale subito dietro l’angolo che aveva aggirato.
Si ritrasse nelle ombre e mentre focalizzava la creatura di fronte a sé, sentì la danza del fuoco al centro dell’area circolare tra le tende sul viso riscaldarlo a tratti.
Ancora ansia ed ancora la ricacciò nel profondo.
Sfiorò le armi assicurate alla cintura: avrebbero potuto servigli da lì a poco, quindi osservò il metodico non-morto che procedeva con quella pratica minacciosa.
Ricacciò il disgusto per i non-morti che provava da sempre, quindi si obbligò ad astrarsi ed a valutare obiettivamente le fattezze della creatura.  Alto oltre due metri, due e dieci probabilmente. Massa muscolare, massiccia, movimenti fluidi e precisi, degni di

Armaiolo? Non è questo che desidero, padre!

un combattente di lungo corso.  I suoi abiti color cenere lo celavano alla vista ed il cappuccio gli copriva completamente il capo.
Poco distante, i suoi effetti personale, evidentemente, in un grosso sacco di tela pesante.  Dyanor pensò che se avesse avuto occasione di frugare li dentro, avrebbe avuto maggiori indizi sulla sua identità, ma per farlo, avrebbe dovuto lasciare la sua postazione attuale, entrare nella tenda alle spalle dell’informatore, avvicinarsi oltre ogni limite di prudenza e, sperando di non essere scoperto, lanciare un paio d’occhiate col suo specchietto telescopico, già utilizzato in passato.
Ne valeva la pena.
Con il pugnale in mano, aprì un varco nel lato spiovente della tenda e vi si introdusse. Come pensava era vuota, del resto, chi sarebbe rimasto in tenda accanto ad un simile non-morto?
Prese dal solito zainetto il solito marchingegno e in silenzio ne assemblò un paio di elementi, giusto il necessario per il suo scopo.  Quindi, senza respirare, allungò il braccio e strizzò l’occhio.
- Sei così ansioso di essere il primo cadavere nel giorno della vittoria? –
La voce profonda del non-morto rombò nella tenda, ma la creatura non si era neppure presa il disturbo di interrompere le proprie azioni.
Dyanor rimase immobile.  Quando una spia veniva scoperta aveva tre opzioni di fronte: scappare, combattere o provare a trasformare una debolezza in un punto di forza, ribaltando la situazione.
Scelte quest’ultima opzione.
- Tutti muoiono. – rispose senza uscire.
- Non tutti. –
- Mi sento piuttosto scomodo a parlare alle tue spalle e poi, è tutt’altro che educato. Se esco…? –
Il gigante si voltò e l’azzurro lucente della non-morte dei suoi occhi brillò nelle ombre gettate sul suo volto dal cappuccio. Quindi con la mano aperta indicò la panca alla quale aveva appoggiato la spada che stava affilando.
La spia non trovò ostilità in quel gesto e pur non fidandosi, scelse il rischio. Aveva bisogno di informazioni e non poteva perdere quell’occasione di averne.  Così, lentamente, come camminasse sulle uova, uscì dalla tenda e prese posto.
Il gigante  tornò alla sua spada.
- Mi chiamo Dyanor. – esordì la spia.
- Piacere. – rispose il non-morto.
- Non ti chiedi cosa stessi cercando? – riprese il templare nero.
- Non particolarmente. - 
- Ti stai preparando a partire? – lo continuò ad incalzare.
Colera voltò le spalle al suo interlocutore, ignorandolo.
In quel gesto così usuale e naturale, quel semplice voltarsi, accompagnando il mantello sollevando appena le spalle, Dyanor ebbe un dejavu.  Si rivide anni prima, a casa coi suoi genitori.  Era sera, poco prima di cena.  Aveva sgobbato sodo quel giorno, pulendo la fucina del padre da cima a fondo, mentre quest’ultimo con suo fratello erano stati fuori per acquisti.  Sua madre era in cucina e armeggiava con pentole e casseruole.  Era un giorno importante.  Era il suo compleanno.
La voce profonda del padre lo raggiunse prima ancora che superasse la soglia e fu chiaro da subito che era di pessimo umore.  Si lamentava della scarsa attitudine alla contrattazione del fratello.  Lasciata la scopa appoggiata ad una parete, entrò in casa e senza far rumore, ascoltò le lamentele del vecchio armaiolo che non finiva di rimproverare il corpulento ragazzo al suo fianco.  Quest’ultimo, in silenzio, non commentava, ascoltava senza proferir parola ogni accusa, ogni commento, ogni argomentazione del padre.
Non si sopravvive se non si è scaltri!
Ripeteva alterato gesticolando animosamente.
Devi crescere in fretta o come potrai diventare armaiolo al posto mio?!
Il ragazzone si irrigidì e drizzò la schiena, aumentando la sua già considerevole altezza di ancora qualche centimetro.
Armaiolo? Non è questo che desidero, padre!
Ricordò nitidamente gli occhi sconcertati del genitore quando sentì quella frase.
Quello che desideri è più importante di quello che devi, secondo te?
Il ragazzo si voltò verso la madre, sorrise, quindi fece spallucce, proprio come aveva visto fare un attimo prima al gigante non-morto, e senza aggiungere altro si era ritirato in camera sua. 
Pochi giorno dopo, era partito per non fare ritorno.
Dyanor scosse il capo con gli occhi carichi di lacrime.  Si sentiva il labbro inferiore tremare e gli occhi avvampargli.  Stava sudando e l’ansia che lo aveva raggiunto era oramai fuori controllo.
Con voce strozzata, ripetè quella frase che sentiva riecheggiargli nella testa:
- Armaiolo? Non è quello che desidero… padre. –
Colera smise di affilare la spada.  Rimase immobile per un attimo, quindi si voltò verso Dyanor.
- Perché… ti firmi osho? – chiese ricacciando le lacrime.  Era tornato indietro nel tempo, si sentiva un bambino che aspettava il suo fratellone.
- Sai bene il perché. – disse triste chinando gli occhi al suolo.
- Oshova? Sei davvero tu! – disse incredulo Dyanor.
Il gigante si alzò in piedi e fissò un punto imprecisato dell’accampamento.
- Lo ero, fratello mio. –
Dyanor scattò in piedi euforico.
- Non posso crederci! Lo sapevo! Lo sapevo che ti avrei ritrovato! Lo sapevo! Ma perché, perché?! Cosa ti è successo? Come ti sei ridotto così? Forse sei curabile! – era un fiume in piena completamente fuori controllo.
- Dyanor, ascoltami bene: non dirai a nessuno chi sono, né qui né soprattutto a casa. – il sorriso di Dyanor gli morì sul viso.
- Perché? Hai lontanamente idea di quanto ti abbiamo cercato? Quanto ti abbia cercato! Nostro padre e nostra madre sono invecchiati mentre giravo il mondo con i servizi in cerca di tue notizie ed ora che ti ho ritrovato, vuoi che faccia finta di nulla? –
Oshova crollò su una sedia, riafferrò la lama, per poi disinteressarsene poco dopo.
- Oshova morì molto tempo fa. Quello che hai di fronte è un cavaliere della morte che ne porta solo le membra, ma di Oshova non resta che questo. –
- Se così fosse, per quale motivo ti firmi da sempre Osho? –
- Perché devo essere un fottuto sentimentale! – gridò lanciando la spada per terra e scattando in piedi.
- Non sei un sentimentale, sei cambiato, certo, ma resti mio fratello! Ascoltami bene: ti ho cercato ovunque potessi arrivare e, quando mi è capitata l’occasione, sono andato anche oltre, trovandoti nel luogo più inospitale al mondo, l’ultimo posto dove avrei mai potuto immaginare di riuscirci.  Ma eccoti! Sei qui, di fronte a me! Osho, non c’è nulla che tu abbia potuto fare che mi potrà allontanare nuovamente da te.  Ficcatelo in quella testa vuota che ti ritrovi. –
Il non-morto fissò Dyanor dall’altro della sua statura ed annuì.
- Non lo dirai a nessuno, fratello, non a nostro padre, non a nostra madre.  Ne morirebbero.  Meglio mi sappiano disperso, ma vivo, che abbiano la certezza del mio stato attuale. –
Dyanor si rattristò, ma anche se a malincuore, annuì.
- Farò come chiedi, ma cosa farai? Cosa faremo alla fine dei giochi? – chiese.
Oshova lo fissò con i suoi occhi luccicanti.
- Quando tutto sarà finito, troveremo il modo di ricominciare daccapo. Al mio ritorno ne riparleremo, ma fino ad allora, io sarò solo Colera. –
- Torna in fretta, allora, Colera, perché non sono intenzionato ad attendere altri dieci anni prima di rivederti. –
- Vedremo. – e fece spallucce, prima di raccogliere la spada da terra e sorridere per la prima volta al fratello ritrovato.
« Ultima modifica: Giugno 30, 2015, 05:11:14 pm da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren