Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba VIII - Cap. 5: L'alba in un nuovo mondo  (Letto 962 volte)

Sceiren

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Figli dell'Ultima Alba VIII - Cap. 5: L'alba in un nuovo mondo
« il: Novembre 07, 2011, 09:29:00 am »
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L’alba in un mondo nuovo


Erano passati solo venti giorni dall’attacco e il mondo era già cambiato, completamente diverso rispetto a prima; un altro luogo, un altro tempo.  Quello che era evidente a tutti, dal più umile contadino al più potente dei Regni dell’Est, così come dei domini di Kalimdor, era che la sicurezza, la pace che regnava da anni, rafforzata dal sodalizio di Shattrath, oramai era solo un lontano ricordo.   
Carovane cariche di metalli entravano in una processione ininterrotta nella capitale dei Nani di Dun Murog alimentando le forge di Ironforge, a pieno regime.  Dalla Grande Forgia, il cuore pulsante della capitale, una nube carica di limatura e zolfo si innalzava verso la volta di roccia della gigantesca grotta nella quale era stata costruita la città.  I rintocchi periodici dei martelli contro le incudini echeggiavano per le larghe vie scavate nella roccia viva.  Re Magni aveva richiamato i più valenti fabbri ed armaioli da tutti i propri domini e come i nani, anche le fucine degli gnomi, le fornaci segrete dei non-morti e gli armaioli di Orgrimmar erano in fermento e lavoravano a ciclo continuo.  I paesi periferici si erano rapidamente svuotati  sotto ordine dei regnanti e nonostante tornare in città in rovina, ancora permeate dall’odore dei cadaveri, non piacesse, gli ordini erano chiari e non ammettevano opposizione alcuna.  Il riarmo doveva essere rapido, efficace, totale. La partecipazione al processo e l’osservanza dei punti dell’Editto Unificato per la Sicurezza dei Popoli Alleati non ammetteva deroghe, pena il carcere o peggio.
Così oltre ai fabbri specialisti in armi ed armature, anche sarti e conciatori erano stati richiamati, così come incantatori e intagliatori di gemme, indispensabili per rendere le armature ancora più efficaci grazie a potenti incantesimi, per chi potesse permetterseli ovviamente.  E come il riarmo interessava l’attrezzatura, così anche le truppe venivano rimpinguate con le braccia di tutti coloro che non erano in grado di fornire supporto strategico: ad eccezione del personale operante nelle corporazioni dei fornai, dei contadini, degli allevatori o dei cuochi, indispensabile per gli approvvigionamenti, la campagna di reclutamento procedeva a pieno regime, ingrossando gli eserciti non solo di mercenari, veterani ormai ritirati e richiamati alle armi o soldati in licenza, ma anche di volontari, anche adolescenti e di disoccupati in cerca di una occupazione.   L’editto del riarmo varato dal Consiglio Alleato aveva mobilitato non solo gli eserciti regolari, ma anche le confraternite riconosciute da Alleanza e Orda, le gilde, che per la prima volta venivano di imperio messe in allerta in massa, nella loro totalità.
Esercitazioni militari erano sempre più frequenti e il coprifuoco era stato proclamato in quasi tutti i quartieri e in tutte le città potenzialmente bersaglio degli invasori. 
Era l’ombra della guerra, era l’ombra del terrore che l’attacco dei non-morti portati da Naxxramas aveva scatenato sui popoli liberi.  Nessuno voleva ammetterlo, ma al di là di una formalità stantia e calcificata nella prassi di un editto, si consumava la prima vittoria del nemico: la fine della pace e l’intaccamento della libertà individuale.
Ilaria si rivoltava nel letto quella mattina, la mattina in cui tutto sarebbe cambiato anche per lei, per loro, per tutti i suoi confratelli, si rivoltava nel letto percorsa da brividi di freddo che non riusciva a controllare.  Un ultimo fremito e spalancò gli occhi. Lingue di luce dorata filtravano dalle tapparelle socchiuse, come luminosi sentieri sui quali la polvere scorreva come acqua sui ciottoli di un fiume dalle finestre lungo le sue gambe e poi avanti, perdendosi sul giaciglio della sua consorella: Lùce.  La sacerdotessa dormiva nel letto accanto al suo, come sempre da quando l’aveva presa sotto la sua ala, da quando aveva garantito per lei a rischio della sua stessa vita di fronte al Clero, di fronte alla Badessa dell’Ordine della Luce.   Si sorprese, la sacerdotessa, di come la sua accolita riuscisse a riposare.  Sembrava non avvertire l’inquietudine che invece a lei impediva il riposo; sembrava non essere consapevole della tragedia, delle migliaia di vittime, della fine del mondo che conoscevano e che ora, più che mai, era un luogo oscuro e pericoloso, dove solo la fiamma della fede avrebbe potuto portare speranza, ricacciando le ombre al Nord, da dove erano venute.  Lùce riposava serena, tranquilla, in pace. 
Ilaria si obbligò a restare sdraiata e tornò a fissare il soffitto: che le tenebre che aveva visto manifestarsi a Forte Tempesta avessero in qualche modo offuscato le percezioni della sua protetta? Che la sacerdotessa dell’ombra che ora conviveva con la sacerdotessa della luce che lei amava avesse in qualche modo gradito l’incursione delle creature diaboliche di dieci giorni prima? Che la Lùce oscura, la Lùce spietata, la Lùce perduta non sentisse il dolore delle madri che avevano perso i loro figli, i loro mariti? Sì, Ilaria temeva che lo spirito caritatevole tipico della sua cara amica fosse stato insozzato dalle ombre… eppure, non poteva togliersi dalla testa le lacrime della ragazza, il dolore reale, profondo, che aveva letto sul suo viso quando aveva rischiato di morire scagliando l’incantesimo della Morte contro il Principe Kael’thas.  Lùce aveva sofferto davvero allora, non era folle di rabbia, ma era travolta dal proprio dolore, dal dolore di aver visto morire il loro compagno Pioggia, dall’aver visto Sceiren in fin di vita, dall’aver visto July sconfitto… era dolore, non ira; era frustrazione, non rabbia… era amore, non odio quello che le bruciava il viso e che, sotto forma di lacrime, le solcava le guance.
La sacerdotessa si voltò di fianco e lasciò correre i pensieri da Lùce al dilemma che la preoccupava assai più del fato della sua amata accolita… il dilemma che sapeva essere alla base della convocazione di quella mattina presso la Cattedrale della Luce, il dilemma che tutti avevano ormai compreso esistere: nessuno, nessuno aveva compreso, avvertito, predetto l’attacco.  Si sentiva cieca, impotente, terribilmente inutile.
Ilaria si girò nelle coperte per l’ennesima volta.   Aveva i piedi freddi e quello che era stato fastidio fino a poco prima stava assumendo sempre più l’aspetto di qualcosa di più serio. Non aveva più voglia di restare a letto, il tempo del torpore era finito… anche se sentiva, in cuor suo, che il torpore, quello vero, la circondava ormai.  Focalizzò un’immagine, come un quadro dipinto nella sua mente da un pittore invisibile in un attimo e dal quale adesso non riusciva più a separarsi, dal quale i suoi occhi non riuscivano più a distogliere l’attenzione. Una melodia sommersa dentro una sinfonia, una melodia nascosta che una volta carpita sostituiva completamente la cacofonia scatenata dal pieno d’orchestra: una lanterna, una lanterna nella nebbia.  La sacerdotessa si sentì improvvisamente venir meno: che la nebbia del nord stesse pian piano ottenebrando la luce della fede? 
Afferrò le coperte e le scagliò a terra. Aveva il fiato corto.
- Mia signora, tutto bene? – la voce di Lùce era un sussurro.
Ilaria scosse il capo, ma continuava a vedere la lanterna seminascosta da un mare di nebbia immoto. 
- Non ho dormito bene.  Dobbiamo cominciare a muoverci. -
Lùce lanciò un’occhiata distratta agli scuri valutando orientativamente che ora potesse essere e seppur poco convinta, non obiettò e si mise in piedi.
- L’incontro di oggi pensi sia utile? – esordì sfilandosi la veste da notte ed avvicinandosi incurante del freddo allo zaino.
- Cosa intendi? – chiese Ilaria sollevando un sopracciglio.
- Posso parlare francamente? –
- Naturale che puoi, puoi sempre con me. – E regalò un caldo sorriso rasserenante alla consorella.
Lùce si calò la leggera sottoveste rosata ed afferrò il corpetto.
- Mia signora, non è certo un mistero che la Chiesa abbia commesso un tremendo errore di valutazione.  E’ impensabile che un evento di tale entità, con una carica negativa così ottenebrante non sia stato percepito dalla Chiesa della Luce.  E’ un fatto inequivocabile che qualcosa non ha girato come avrebbe dovuto e secondo me incontrare ora i dodici per individuare il perché di questo fallimento è quantomeno fuori luogo, anzi, fuori tempo.  Gli eventi si sono consumati, i morti non si contano più e i danni sono molteplici e notevoli.  Siamo sull’orlo della catastrofe, mia signora, e invece di correre in mezzo ai malati, ai feriti a dare supporto, la Badessa si trincera dentro le mura della Cattedrale distogliendo, tra l’altro, anche voi dodici dalla vostra santa opera che, inoltre, oltre ad alleviare le sofferenze fisiche, garantisce anche la cicatrizzazione delle ferite spirituali dei fedeli.  Nondimeno, la sola presenza dei sacerdoti in mezzo alla gente è un chiaro indice della presenza della Chiesa nella vita di tutti i giorni, della sua partecipazione alla sofferenza comune, mentre un incontro che ha più l’aspetto di un seminario di teologia che non volto ad operare scelte anche difficili, ma comunque pratiche ed immediate, secondo me avrà il solo risultato di un ulteriore allontanamento della gente dalla luce del Creatore e dalla Chiesa che lo rappresenta su Azeroth. -
Ilaria aveva ascoltato con attenzione ogni parola e in più di un’occasione avrebbe voluto interrompere la consorella, ma in altrettante avrebbe desiderato approvare il suo pensiero… perché che le piacesse o no una parte del suo spirito la pensava esattamente come Lùce.
- La Badessa ha permesso il tuo ritorno alla luce, amica mia, se non fosse stato per la sua lungimiranza ora probabilmente saresti consumata dalle tenebre.  Tutto si può dire di Lidia… della Badessa, salvo che non abbia una vista acuta.   Non ho gli elementi per valutare l’ordine del giorno, Lùce, tuttavia di una cosa sono certa: non si tratterà di teologia.  Gli eventi ci sovrastano come una valanga messa in moto da una semplice palla di neve lasciata scivolare lungo un crinale.  L’attacco può essere finito, ma i suoi effetti sono imprevedibili e ancora in movimento.  -
Lùce finì di vestirsi, prese una mantellina scura e chiuse lo zaino, poi dritta come un fuso si voltò verso Ilaria e la fissò gelida.
- Pensi che il Creatore ci abbia abbandonato? -
Ilaria chiuse gli occhi e cinse le mani in grembo, scosse il capo e inginocchiandosi con la destra fece cenno alla consorella di seguirla e con la sinistra si accarezzò la lunga treccia bionda che le ricadeva sulla sinistra allungandosi fin sul petto.
- La nostra fede e il respirare ancora dimostrano che il suo abbraccio non è venuto meno, sorella.- e senza aggiungere altro iniziò i salmi del mattino.
« Ultima modifica: Novembre 07, 2011, 09:57:47 am da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren