Albina non aveva idea di quanto tempo fosse passato, non sapeva se fosse mattina o sera o da quanti giorni avessero attraccato, quello che avvertiva, oltre che il dolore alla schiena, era un languore continuo allo stomaco e un fastidio dovuto al tanfo che la circondava.
Aprì lentamente gli occhi e fissò con le sue pupille candide i piedi del letto. Era viva ed era ad Azeroth. Era già qualcosa.
L’evocatrice provò a girarsi mettendosi supina, ma il dolore alla schiena le mozzò il fiato e la fece desistere, così si voltò dall’altra parte e si accorse che era praticamente a pochi centimetri dal suo stesso vomito, rappreso. Sentì i conati tornare e non curante del dolore si mise a sedere con gli occhi che le bruciavano e le labbra esangui strette per trattenere un gemito di sofferenza.
Il silenzio era rotto solo dal vociare dei marinai che evidentemente si davano piuttosto da fare sul ponte. Albina mise a fuoco il candelabro sul comodino, il cuscino sul letto, la sedia ribaltata poco distante, la porta, un ragno che pigramente tesseva la sua ragnatela, e altri mille particolari del mondo reale, normalità per tutti, quasi una riscoperta per lei. Poi i tonfi forti alla porta la fecero sobbalzare.
- Albina, adesso basta, apri questa maledetta porta! -
Quella voce era familiare, sapeva di conoscere quella persona, ma il cervello ancora non era connesso al mondo in cui si era risvegliata. Non era una minaccia però, questo lo sapeva.
Per la prima volta da quando il viaggio era cominciato, Albina aveva deciso di chiedere aiuto, ma le parole le morivano in gola. Non aveva forza sufficiente per pronunciarle.
- Albina apri o entro comunque! – gridò la voce. Nessuna risposta però era possibile nelle sue condizioni.
- E va bene… -
Un attimo dopo la porta venne divelta da un calcio di un uomo corpulento e massiccio, anche se avanti con gli anni. Dietro di lui un ragazzo che sapeva conoscere e poi un uomo la cui vista fu come uno schiaffo.
- Ere… - sibilò. Lo sforzo fu tale da portarle via le ultime forze, ma questa volta non era sola e non toccò il suolo, non più, perché mentre cadeva a peso morto, esanime, le braccia di Roredrix la raggiunsero strappandole l’ennesima umiliante sconfitta.
* * *
- Rapporto, amica mia. – chiese elfo mentre con un con un piccolo, ma affilato, coltello correggeva alcune imprecisioni nel perfetto pizzo che portava.
- Abbiamo lasciato il mare aperto da diverse ore. Dovremo raggiungere Terramare prevedibilmente prima del tramonto., la paladina si avvicinò all’elfo poco distante, Gaius, ci siamo ormai, manca davvero poco. –
L’elfo della notte posò la lama sul tavolino e sorrise alla sua immagine ondulante riflessa nella bacinella che usava per specchiarsi, poi si voltò e sorrise alla paladina.
- Sì Shira, ci siamo, e non sarei qui se non fosse per te. Io… -
Shira schiacciò dolcemente l’indice sulle sue labbra troncando nel modo più dolce l’ennesimo ringraziamento del sacerdote.
- Non dirlo, non è necessario. Siamo qui per la Sua volontà, non perché io ho parlato con Clarisian né perché lui ha acconsentito alla tua presenza qui o perché ha garantito la mia. Siamo qui per Lui e per nessun altro. Non crucciarti per problemi inesistenti. -
Gaius annuì sollevando le lunghe sopracciglia e lasciando brillare i suoi occhi della luce tipica degli immortali elfi di cui faceva parte.
- Ecco, disse la paladina avvicinandosi ancora, ecco la luce divina del Creatore… - e non attendendo la risposta del sacerdote, lo baciò stringendolo a sé.
* * *
La piccola gnoma sembrava ancora più piccola al cospetto delal decina di militari che andavano e venivano nella sala principale della Fortezza di Valliance. Al centro, un enorme tavolo rettangolare, occupato quasi nella sua interezza da una mappa delle Northerend, e circondato da uomini e orchi che Seilune aveva sentito solo nelle storie.
- Sire, ecco la maga. -
L’uomo con la coda di cavallo e la cicatrice sul naso, si voltò verso Seilune squadrandola, poi i suoi occhi neri si posarono su un gigantesco paladino che le fece cenno di farsi avanti con la mano protetta da pesanti guanti di maglia.
Seilune avanzò mettendo con riluttanza un piede davanti all’altro e salendo i tre scalini raggiunse il tavolo e i regnanti che lo circondavano.
- Per capire, sarebbe questa… la guida? – sibilò un’elfa avvolta in variopinti abiti ricamati.
- Tyrion. – disse Re Varian.
Il paladino dall’aria marziale si lasciò andare ad un sorriso che, per quanto le condizioni lo permettessero, ebbe un effetto rilassante sulla maga praticamente paralizzata.
- Perché non inizi col presentarti a Sire Varian Wrynn, signore di Stormwind, a Thrall, signore della guerra ed al suo secondo, nonché all’arcimago Leryda? -
Era quello che mancava per far sprofondare nel panico la maga.
- Io? -
- Sì tu, rispondi alla domanda! Ma dobbiamo perdere tempo in questo modo, abbiamo cose pià importanti da pianificare! – ruggì l’orco accanto a Thrall alzando la voce e allargando le braccia al cielo, visibilmente frustrato.
Seilune, spaventata, comparve in una nuvola azzurra per ricomparire due metri in direzione della porta. Fece un passo all’indietro ma impattò con le gambe di una guardia. La gnoma alzò gli occhi e vide lo sguardo inflessibile del soldato così scomparve di nuovo per tornare più o meno nella posizione iniziale.
- Vogliamo rispondere, adesso? – ripetè il paladino incrociando le grosse e muscolose braccia sul petto.
- Mi chiamo… Seilune, maga errante di Icecrown. –
Leryda sorrise ei suoi occhi divennero due fessure lucenti.
- Una maga del gelo, quindi, e per giunta senza alcun orientamento di Dalaran. Una mina vagante. -
- Le mine sono dei goblin, sia signora, io sono uno gnomo e so orientarmi, se era questo a cui si riferiva. –
Leryda sgranò gli occhi e balbettò soltanto: - Arci…arcimaga! –
- Molto bene, Seilune, ti ho fatta chiamare perché vorrei che confermassi quanto mi è stato riferito. Innanzitutto: è vero che il tuo clan vaga nomade nelle distese orientali di Icecrown? -
- Sì…? –
- E’ vero che tuo padre è il mago Teril, mano bianca? E tua madre l’evocatrice Zyva? –
- Vero. –
- Ed è vero che non sei solita trascorrere i mesi invernali da sola oltre gli altopiani di Basin lungo i picchi orientali, fino ai Cancelli? –
- Ho fatto qualcosa? –
- Quanto conosci quei sentieri, Maga, precisamente, quanto conosci i sentieri tra gli altopiani e Icecrown? – chiese Varian piazzando il dito sulla mappa ed indicando quanto stava chiedendo.
- Signore, sire…siri cioè, vivo nei ghiacci da quando avevo sei anni, da sola. I ghiacci cambiano aspetto, ma la roccia non cambia. Così posso anche non conoscere ogni blocco di ghiaccio, ma conosco ogni sentiero che lo attraversa. –
- Tyrion? –
- Mio re, tutti mi hanno detto la stessa cosa: per procedere abbiamo bisogno di una guida e non vi sono guide migliori degli Erranti del gelo. –
Thrall con una mano sul tavolo, cominciò ad avvicinarsi. I suoi occhi azzurri ricordavano il ghiaccio più gelido. Raggiunta la gnoma, l’orco si fermò e la scrutò a fondo, poi le chiese con la voce più calma e meno minacciosa che Varian gli avesse mai sentito:
- Quanta gente ha perso il tuo popolo per mano dei non morti di Icecrown, errante? -
Seilune non si aspettava una simile domanda. Si sentì improvvisamente gli occhi umidi quindi rispose per la prima volta minacciosa, con tono gelido e deciso.
- Troppi. -
- Quanto faresti per vendicare la loro morte? –
Seilune si avvicinò all’orco e non distogliendo lo sguardo dal suo e fissandolo dal basso verso l’altro rispose:
- Qualsiasi cosa. –