Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XXX - Capitolo 21: Gli eroi dell'Iracancello (I)  (Letto 1269 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
  • Epico
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  • Chi sono dei due? :D
    • Mai dire di no al panda!
Si entra nel vivo! Da un lato Shockwave e Seilune affiancheranno Bolvar Fondragorn e Dranosh Saurfang nell'assalto all'Iracancello, mentre dalla parte opposta le forze alleate muoveranno contro Naxxramas e i suoi temibili generali!
Buona lettura!


21
Gli eroi dell’Iracancello (I)

Aveva dato l’ordine e i suoi, naturalmente avevano obbedito.  Aveva coerentemente e caparbiamente ignorato le difficoltà, almeno apparentemente, ma tutto quanto lo stava mettendo a dura prova: il lungo viaggio, prima, la mancanza di provviste, lo sconforto delle truppe ed anche il rigido clima, poi.
Dal momento in cui aveva messo piede a Northrend, Arthas si era trovato ad affrontare problemi uno dietro l'altro. L'unica nota positiva era stato l'incontro con l'avanguardia della Lega degli Esploratori guidata dal suo vecchio amico Muradin Barbadibronzo. Erano passate tre settimane dall'arrivo alla Baia di Puntalama e dall'installazione del campo base. Da allora il morale delle truppe non aveva fatto altro che calare.
Il principe era solo nella sua tenda, seduto su una cassa di legno recuperata dalla stiva di uno dei vascelli. Si teneva il volto tra le mani ed aveva entrambi i gomiti puntati sulle ginocchia, i biondi capelli, trasandati e sporchi, cadevano lungo gli avambracci. Arthas aprì di poco le mani, quel tanto che gli serviva per poter liberare gli occhi ed osservare la sua armatura ed il suo martello da guerra al suolo, poco distanti da lui.

Un Paladino della Mano d’Argento dev'essere sempre pronto allo scontro con il Male. La sua armatura e la sua arma devono risplendere come la Luce che egli serve.

La parole di Uther riecheggiarono dentro di lui mentre osservava la sua armatura coperta di polvere e fango. Arthas ricordava anche quando sentì quelle parole per la prima volta: era poco più di un ragazzo ed il padre, Re Terenas II, lo aveva accompagnato nella Cattedrale della Luce di Stormwind. Lì aveva conosciuto il paladino che sarebbe presto diventato per lui un amico ed un mentore.
- Lo sono ancora? Sono ancora un servitore della Luce? - si chiese Arthas. - E Jaina...non dovevo lasciarla andare così! Se avesse avuto ragione? Se avessi dovuto attendere il resto delle forze e arginare solamente l'orda immonda di Stratholme?-
Il principe sentì sulle mani il calore delle sue lacrime. Era da tanto tempo che non piangeva. O forse lo aveva fatto in precedenza, ma con quel freddo le lacrime erano diventate subito ghiaccio e magari non se ne era nemmeno accorto.

- Sei vicino...non cedere ora... - la voce si fece di nuovo sentire.

-  Fa’ silenzio - disse il Principe a bassa voce - Se solo non ti avessi mai dato retta, ora non sarei qui... –

- La strada è quella giusta, giovane Cavaliere... -

- Fai silenzio, ho detto! - ringhiò Arthas alzando il tono.

- Presto sarà tuo un potere che ora non puoi nemmeno immaginare! –

- Ho detto, fa’ silenzio!!! - il Principe urlò a pieni polmoni, portandosi le mani sulla nuca, ed i gomiti all'interno delle gambe.
- Mio Signore? - una voce giunse dall'ingresso della tenda - tutto bene? –
Arthas alzò la testa asciugandosi le lacrime e vide uno dei soldati preposti alla sua guardia che, scostati i drappi, lo guardava.
- E' tutto a posto soldato, grazie, rispose il principe abbozzando un sorriso,  solo un brutto sogno. - La guardia contraccambiò il sorriso e riprese il suo posto all'esterno.
I suoi sudditi tenevano ancora a lui. Non importava come gli avesse fatto raggiungere quell'isola, non importava la situazione in cui  si trovavano ora. Il loro principe era ancora importante per loro.
E così doveva essere per lui nei loro confronti. Forse spingersi fino a quel punto era stato davvero troppo: voltare le spalle a tutto, seguire solo la brama di vendetta e voler porre fine con le proprie mani alla minaccia dei non-morti e di Mal'Ganis. Forse aveva agito troppo d'impulso... poteva ancora tornare indietro. Avrebbe scontato quanto necessario per le sue azioni a Stratholme, il Re avrebbe capito le sue motivazioni e l'avrebbe perdonato. Anche Uther sarebbe tornato a servire con lui ed insieme avrebbero marciato su Northrend per porre fine una volta per tutte a quella crisi.
Si, sarebbe andata così.
Era ora di uscire ed avvertire gli uomini: si torna a casa.
- Principe Arthas? - la voce del nano lo fece sobbalzare
- Si Muradin, entra pure –
Il nano entrò nella tenda accarezzandosi con la mano sinistra la folta barba rossiccia e tenendo con la destra una pergamena - Mio Sire, i maghi ed i chierici hanno finito di tradurre quei documenti trovati nelle rovine troll la settimana scorsa –
- Qualcosa di interessante? –
- Decidi tu, Principe, disse il nano mentre gli porgeva la pergamena, questo è quanto riportato.-
Arthas aprì la pergamena e lesse ad alta voce – “La Lama delle Anime conferisce a chi la impugna il potere supremo. Nessuna creatura, viva o non-morta, sacra o demoniaca, la può contrastare. Nella regione di Dracombra, nelle profondità della sua caverna, la Lama delle Anime attende...” –

Eccola! E' lei!!

- Lama delle Anime, Arthas. Nulla di buono per me! – mugugnò Muradin visibilmente a disagio.
- Muradin, pensaci bene! - lo incalzò Arthas - Quest'arma può essere la chiave per ribaltare le sorti dello scontro! Un guerriero spinto dalla forza della Luce, brandendo quest'arma, sarebbe inarrestabile! –


- Devi recuperarla, Re Arthas! - 

- E questa storia delle anime? Quella parte proprio non mi piace - il nano continuava a lisciare la folta barba nervosamente.
- Probabilmente le anime di cui si parla sono quelle dei malvagi che hanno cercato di opporsi ad un tale potere! Muradin, devo trovare quest'arma, porre fine alla minaccia incombente e tornare a Lordaeron da vincitore. - il principe si alzò in piedi, strinse il pugno destro e lo alzò davanti a sé.
- Con un'arma del genere nessuno potrebbe mai fermarmi. Potremmo anche liberarci dell'Orda una volta per tutte! –
Il nano osservava Arthas: l'espressione del Principe era radicalmente cambiata nel giro di pochi istanti. Da sconfortata e piena di timori a risoluta e senza scrupoli.
- Muradin, raduna provviste per noi due. Partiamo alla ricerca di questa Dracombra prima della notte! -
- Solo noi due Arthas? –
- Sì, che i soldati mantengano l'accampamento fino al nostro ritorno - disse mentre raccoglieva uno schiniere dell'armatura ed iniziava a piazzarlo sulla gamba destra.
- Nessuno torna a casa. -

* * *

Era l’inferno, l’inferno sulla terra quello che la circondava. Un abbraccio di ordine e caos, di morte e dolore, di carne e sangue.  I suoi amici, i compagni che aveva accompagnato a lungo, che l’avevano strappata alla follia più cieca, ora erano impegnati in un combattimento all’ultimo sangue, al fianco di sconosciuti che nella maggior parte dei casi non sarebbero mai tornati alle loro case, ma che avrebbero fornito nutrimento alla vegetazione che avrebbe prosperato e proliferato tra le loro ossa… ove queste ultime non avessero preso a seguire il loro nuovo padrone e comunque, in quel caso, avrebbe significato che la battaglia a cui stava assistendo si era conclusa per il peggio e ogni elucubrazione successiva avrebbe perso di interesse o senso.
Albina aveva seguito Erebus, Nadìr e Selune fino a quel lampo nel cielo, poi, quando le truppe si erano mosse, lentamente si era defilata, appoggiandosi ad un arbusto abbastanza esile da piegarsi al suo peso, ma sufficientemente elastico da non spezzarsi… del resto era pelle e ossa, letteralmente consumata.  L’evocatrice si portò le mani tremanti sugli occhi serrati.  Serrò le labbra esangui.  Le grida dei combattenti, i sibili degli incantesimi, i ruggiti delle cavalcature, l’orrore dei non-morti, si stava miscelando in un fiume di suoni sempre più ovattati e coperti da altri suoni, versi e barriti sconosciuti persino agli evocatori più esperti… la voce dell’abisso.   Ebbe un sussulto, sbattè la nuca contro la corteccia alle sue spalle e non avvertì il dolore provocato dall’impatto né dalla ferita aperta o dal sangue che iniziava a colarle lungo il collo: era già straziata, la sua anima era straziata dagli artigli della immonda creatura che aveva scelto di trovare e che poi, in definitiva, lungo la traversata dei mari del nord, aveva trovato lei e così da aguzzina si era tramutata in vittima sacrificale, un topo in trappola che cerca una via di fuga dove non c’è.  Non si scappa da se stessi e se si abbraccia l’oscurità, la tetra oscurità dell’abisso, è l’abisso ad abbracciare l’anima, contaminandola per sempre, irretendola nelle sue maglie oscure e corrompendola per sempre.
Albina si morse la lingua. Era uno dei “trucchi del mestiere” imparati in accademia, uno dei pochi che funzionavano davvero, un modo per ritornare alla realtà quando tutto il resto sfuma e ritrovò la bolgia di ferro e fuoco che aveva lasciato poco prima… e ritrovò il demone dell’abisso che aveva stuzzicato. 
Era lì, di fronte a lei, in piedi, mastodontico, la fissava immobile.  Le ali violacee spalancate, le corna ricurve puntate proprio nella sua direzione, le braccia muscolose, percorse da vene pronunciate, distese sui fianchi possenti e quegli artigli,

la sua anima era straziata dagli artigli della immonda creatura che aveva scelto di trovare


artigli ricurvi e lucidi, taglienti come rasoi o uncini da macellaio. Artigli letali che aveva contrastato con ogni mezzo, ma contro i quali poco o nulla aveva potuto…
Il demone la fissava senza muoversi incurante della battaglia che infuriava intorno e loro.  La sua attenzione era tutta per lei, per l’aguzzina che avrebbe dovuto mettergli il giogo intorno al collo e che invece si era rivelata un piacevole passatempo.  Albina era convinta che fossero questi i suoi pensieri, il tutto condito con le torture passate inflitte e future… che le avrebbe fatto provare da lì a poco.  Poi notò il colore dei suoi occhi: bianchi, color del latte.
Non era possibile.
Nessun demone ha occhi così.
Nessuna creatura dell’abisso o degli inferni che aveva più volte esplorato, soprattutto di recente.
Nessuno aveva occhi così…
Nessuno… eccetto lei.
Albina smise di tremare, mentre l’albero alle sue spalle cominciava a farlo e lentamente lasciò il suo riparo improvvisato e si avvicinò in un misto di incredulità ed esaltazione alla figura immobile di fronte a sé.  Un ghigno le si disegnò sul viso e lo sguardo folle di un tempo tornò a farsi strada negli occhi.  Non era un demone quello che vedeva, ma era il demone che era diventata!
Abbassò gli occhi mentre si umettava le labbra secche, ispirò l’odore acre dell’acido che ribolliva in pozze poco distante dai suoi piedi, quindi allungò una mano non più tremante ma decisa come sapeva essere verso il demone che scomparve al tocco.
Iniziò a ridere come una forsennata, mentre dapprima camminando, poi sempre più correndo, puntò al fronte più avanzato, incurante degli ordini ricevuti, dei suoi compagni che si lasciava alle spalle e che le intimavano di fermarsi e dell’esercito di non morti che da lì a poco avrebbe incontrato.

* * *

Erebus e Selune avevano diviso in squadre le forze dei Templari Neri al loro comando: se è vero che in momenti concitati come quelli il poter contare sui propri amici e compagni poteva segnare la differenza tra vivo o morto, la loro valutazione di come la battaglia si sarebbe evoluta sfortunatamente era corretta.  Caotica e senza strategia, ma solo con una linea generale di condotta.
In buona sostanza il compito della suo corpo era quello di accompagnare i mezzi fino ai Campi Morti per poi lanciare l’assalto alle truppe di terra al seguito di Kelthuzad nei pressi del quartier generale della resistenza, il tutto seguendo i carri nanici per evitare che venissero danneggiati.  L’idea di Masters era stata quella di creare un corridoio di forze alleate che proteggesse i mezzi, ma con un nemico che attacca dal cielo come dal sottosuolo, capace di sbaragliare le linee offensive con forze della stazza di abomini giganteschi, alla fine, non vi era strategia che potesse reggere se non l’improvvisazione volta al raggiungimento dell’obiettivo primario.  Così i due generali avevano costituito piccoli gruppi capaci di essere autosufficienti e di riuscire a sopravvivere qualora gli altri non fossero a portata o, peggio, venissero abbattuti.  I gruppi prevedevano una testa di ponte capace di reggere lo scontro diretto, un mago o evocatore, un curatore come minimo e poi tutti gli altri.  Questa strategia si rivelò vincente quanto la battaglia entrò nel vivo, quando senza alcun preavviso la prima linea venne penetrata come potrebbe un coltello incandescente un panetto di burro e quattro cavalieri irruppero nella seconda fila seminando letteralmente morte e devastazione, subito seguite da panico e caos.

* * *

Fu il caos: non capiva da che parte fosse il cielo e dove la terra, se non fosse stato per le pietre che gli si conficcavano in tutto il corpo ad ogni impatto.  Dyanor gridava mentre ogni volta che si trovava sospeso a mezz’aria cercava di colpire con i propri pugnali uno degli anelli della catena che gli si era avvinghiata alla gamba come un tentacolo metallico della peggiore delle piovre.  L’abominio con cui stava combattendo e che ora lo scaraventava a destra e a sinistra con una facilità imbarazzante, era enorme, grande come non ne aveva mai visti.  Un insieme informe di parti di creature diverse cucite assieme in modo grezzo, ma evidentemente efficace.
-  Il Patchwerk vuole giocare! – disse divertito ridacchiando il mostro, con voce fanciullesca, mentre grugnendo strattonava per l’ennesima volta Dyanor facendolo volare per aria.  Poi il braccio cucito sulla schiena dell’aggregato di carne descrisse un arco con la mannaia che stringeva cercando di tagliare in due il suo bersaglio.  Con un colpo di reni doloroso Dyanor evitò il colpo per un soffio e ritrovò il suolo. 
Ansimando si voltò e piantò i pugnali ad “ics” dentro l’anello della catena più a portata, quindi fece leva su entrambi ottenendo solo di deformare il metallo.  Sicuramente avrebbe avuto fortuna, se avesse potuto permettersi più tempo, ma la creatura non aveva intenzione di interrompere il suo gioco; così, proprio come prima, ghignando felice, piantò i grossi piedi nel terreno, si piazzò meglio la mannaia nella terza mano callosa e si preparò per l’assalto successivo. 
-  Non vuoi giocare?!, chiese sollevando il grosso labbro inferiore, poi abbandonandosi ad una sana risata aggiunse – Patchwerk vuole giocare ancora! – e tirò.   
Si dice che l’esperienza del vecchio guerriero spesso vince la forza e l’esuberanza del giovane ed infatti nonostante l’evidente svantaggio, la navigata spia ebbe in una frazione di secondo un’idea che avrebbe potuto fare la differenza: mentre il suolo si allontanava da lui e le fiammate di dolore gli percorrevano la coscia fino ai fianchi, invece di divincolarsi si lasciò trasportare con evidente soddisfazione dell’energumeno.  Quando infine la mannaia calò su di lui, gridando si piegò innaturalmente portando la gamba contro il petto per poi scattare come una molla.  La mannaia scese su di lui, ma al posto del corpo del guerriero si ritrovò la catena esposta che lo stringeva, tesa e pronta solo ad essere tagliata.  Evidentemente non solo la catena aveva caratteristiche magiche, ma anche la mannaia, che senza quasi trovare resistenza, recise gli anelli liberando finalmente il suo prigioniero che cadde rovinosamente più avanti.
Il mostro fissò la catena tagliata con lo sguardo ingenuo di un bambino, quindi si grattò con la sinistra, mentre con la destra agitava il moncone della sua arma preferita.
- Non è bello questo. Patchwerk triste, Patchwerk vuole giocare ancora… - e facendo tremare il terreno puntò lo stremato combattente, poi migliaia di scariche elettriche raggiunsero la creatura dall’alto, facendolo gridare di dolore.
- Perché??!! – gridò al drago che lo aveva centrato col suo soffio.

* * *

Bolvar camminava di fronte ai suoi uomini con sguardo fiero e deciso.
- Per Bolvar! –
- Per il Creatore! –
Urlavano i soldati galvanizzati dalla vista del loro generale e dell’Iracancello così vicino.
Bolvar aveva lasciato nell’accampamento alle sue spalle ogni dubbio e remora, ogni pensiero per quei soldati che forse non sarebbero mai tornati a casa e per i quali, qualora il Creatore avesse scelto che avrebbe dovuto sopravvivere, avrebbe pianto per il resto dei suoi giorni. Aveva lasciato la sua pietà, la sua umanità, ogni sua debolezza alle spalle perché la posta era troppo alta per permettersi di essere distratto.  La posta era totale.
Subito dietro di lui l’arcimago Alvareux con le tre reliquie pronte all’uso: il teschio di Gul’dag nella destra, il libro di Mediev nella sinistra e l’Occhio di Dalaran al collo. 
- Per Lordaeron! Per l’Alleanza! – continuavano ad inneggiare i soldati sollevando le spade al cielo e scambiandosi sguardi carichi di ammirazione reciproca.  Gli occhi verdi di Bolvar Fondragorn non tradivano alcuna emozione.  Si era preparato per quella battaglia anche nell’aspetto perché se quel giorno avrebbe incontrato il Creatore, non voleva apparire trasandato o irrispettoso.  I fulvi capelli erano accuratamente tagliati, la barba dal disegno perfetto e l’uniforme impeccabile.  Era pronto per Arthas, era pronto allo scontro finale.
Raggiunta la prima fila, Bolvar lanciò un’occhiata a destra e sinistra, ma non si voltò anche se avrebbe voluto: di Saurfang il giovane ancora nessuna traccia. Poco male, non aveva più tempo: di fronte a lui ed ai suoi uomini decine di tribali Vrykul insieme a scheletri guerrieri avevano lasciato l’Iracancello e li fissavano minacciosi.
Bolvar sapeva cosa doveva fare e senza perdere attimi preziosi, stretti spada e scudo, gridando ed attingendo a tutta la sua rabbia, si scagliò contro il primo guerriero dei ghiacci frantumandogli il cranio, seguito da tutti i suoi uomini migliori.

* * *

Roredrix fu il primo a vedere i quattro ed anche se era abituato al primo impatto con la minaccia peggiore, rimase sorpreso dalla grazia e dalla potenza di quei cavalieri.  Dopo un attimo di esitazione, piantò bene i piedi per terra, attinse al potere della sua fedele Thunderfury e ruggendo attese la carica.
Davanti a lui il cavaliere più esterno, una donna sembrava dalla grazia e dalle forme… un diavolo sulla terra, per ferocia e potenza.  Quando lo raggiunse, Roredrix calò la sua arma e una serie di mulinelli circondarono la cavalcatura non-morta che iniziò a barrire la sua disapprovazione, mentre le zampe, dovendo contrastare i turbini di vento scatenati dalla spada, dovettero rallentare la propria corsa. 
Roredrix sorrise soddisfatto, mentre un dardo di ghiaccio scagliato da Zaltar alle sue spalle sibilando lo superò all’altezza della spalla destra per impattare il cavaliere.  La donna, ora Roredrix la vedeva chiaramente, poco prima che la magia la colpisse, si protesse col mantello blu scuro, che ne assorbì l’energia, quindi calò la spada sul guerriero che deviò con lo scudo prima di incrociare la propria arma con quella della nemica.
- Osi pararti di fronte a Blaumeux?! – disse la donna, poi tirando le redini, fece arretrare la sua cavalcatura, prima farla impennare per poi piazzare due zoccoli al centro dello scudo del guerriero, che, non riuscendo a bilanciare il peso del gigantesco frisone, venne scagliato all’indietro. Lùce impose le mani verso Roredrix che si sentì subito rinfrancato, poi un dardo di ombre lasciò le mani di Lady Blaumeux e lo colpì in pieno strappandogli il respiro.
Il cavaliere rise di gusto, prima di venire raggiunta da una decine di frecce scagliate da Kimmolauz.
- Non ridi più eh? Aspetta di assaggiare questa! – disse il nano superando l’arciere e ruggendo caricò in groppa alla sua ram da combattimento, saltando a poca distanza dal nemico e calando la possente mazza chiodata color della lava sul fianco della cavalcatura, frantumandole le costole e facendola cadere sul fianco opposto.  Bryger si passò la “Mano di Ragnaros” dalla sinistra alla destra prima di asciugarsi il sudore ghignando.
- Insignificante mortale! – urlò Lady Blaumeux, strisciando da sotto la sua cavalcatura martoriata e rimettendosi in piedi, quindi puntò gli occhi furenti al guerriero di nuovo in forze.
- Benfatto! – esclamò Lùce, poi si sentì i timpani vibrare.  La testa pesante, sempre più pesante così come l’aria nei polmoni.  Tossì, mentre la vista le si appannò.
- Ma cosa..? – iniziò a salmodiare una preghiera al Creatore, ma non ricordava le parole.  Traballando arretrò inciampando su Kimmolauz già a terra in preda allo stesso male.
Poco più avanti, Roredrix si appoggiava alla spada come fosse un bastone e di Zaltar nessuna traccia.  Bryger cercava di restare in piedi, scosso da tremiti incontrollati, mentre il suo montone, come impazzito, scappava verso il ponte dietro di loro.
Alle spalle della figura ora persino più minacciosa, altri soldati presentavano gli stessi sintomi, seppure non impegnati direttamente nel combattimento.
- Cosa c’è, mortale, qualcosa non va? – e scoppiò in una fragorosa quanto sinistra risata, quindi di nuovo in groppa al suo destriero spettrale claudicante, ma come rigenerato e di nuovo in piedi, Lady Blaumeux iniziò a muovere la mani: era il suo turno di attaccare.

* * *

Piombò sul carro fortificato dei nani facendolo letteralmente andare in pezzi. I cingolati si trasformarono in una miriade di proiettili di metallo che trafissero tutti coloro che avevano la sfortuna di dal loro il fianco o le spalle.  Whitescar fortunatamente non era tra questi e, avendo visto il non morto arrivare, aveva potuto prepararsi per fornire ai suoi amici un supporto sufficiente. Dopo aver gridato di gettarsi a terra, pregò il creatore che le desse la forza e irradiasse la sua luce sacra su tutti loro.  La preghiera venne ascoltata e ogni ferita aperta dalle schegge di metallo, venne dapprima bloccata e poi repentinamente curata in un bagliore dorato che non sfuggì al nano non morto.
- Ne ho già abbastanza di voialtri, godrò nell’arrostire le vostre carni! - 
- Non credo proprio, scendi dal cavallo se hai il coraggio, codardo di un nano! – gridò Wintate preparandosi allo scontro e puntando la propria spada lunga e il suo scudo a torre verso il nemico, mentre l’ira amplificava la sua voce e gli dava forza.
- Codardo?! Nessuno da del codardo a Thane Korth'azz! – fece impennare la bestia infernale che cavalcava prima di avventarsi contro Wintate. 
Era il momento.  Erebus lasciò un’occhiata al suo apprendista, un’occhiata che Azazhiel conosceva fin troppo bene, ed all’unisono scagliarono due globi d’ombra contro il nemico.  Le sfere si inseguirono, superandosi a vicenda più volte, prima di impattare col petto del nano, che urlando in una lingua sconosciuta, si scagliò avvolto tra le fiamme contro Wintate.

* * *

Kungen ordinò al drago azzurro che cavalcava di tornare sul bersaglio: odiava i non-morti, odiava gli abomini e, soprattutto, odiava quella calma piatta ed apparente che la pace forzata aveva instaurato.  In altri tempi si sarebbe divertito non poco a vedere il gigante di carne fare una poltiglia dell’umano sdraiato a terra, ma aveva un codice d’onore e da sempre rispettava le promesse fatte e lui aveva giurato al signore di Thunderbluff che avrebbe contribuito con i suoi compagni al buon esito della campagna militare congiunta, non per l’alleanza, non per il Progetto, solo per l’equilibrio che da sempre, assieme al tauren che da sempre si sforzava di eguagliare, amava seguire, imporre e garantire con le proprie azioni.  Il guerriero tauren imbracciò il fucile e lo puntò verso l’abominio, quindi attese che il drago descrivesse virasse e si riallineasse col bersaglio che, apparentemente, aveva resistito al suo soffio senza neppure accusarne l’impatto.  Avrebbe sperimentato i pallettoni della sua arma adesso, nulla di più solido di un colpo di fucile!   Così attese, si schiacciò sul dorso della creatura e quando giunse il momento, si sbilanciò sul fianco e schiacciò il grilletto ruggendo con tutta il fiato che aveva in gola:
- Per i Nihilum! - 

* * *

Impose le mani attingendo alla forza della sua fede e gridando la sua ira contro l’immonda creatura che aveva di fronte, benedì il terreno che circondava il gigantesco abominio.  Il terreno brillò d’oro e luce, irradiando raggi benedetti dal basso verso l’alto.  L’abominio guardò i piedi giganteschi iniziare a squarciarsi con uno sguardo incuriosito, quindi, raggiunto da qualcosa di simile al dolore, saltellò sul posto, aggottando la fronte e spalancando la bocca abnorme:
- Perché fai questo al Patchwerk?! – disse piagnucolando al paladino. 
Blackill sollevò la sua mazza verso il cielo, quindi inneggiando al creatore la scagliò con forza contro la creatura colpendola in pieno petto.  La mazza avvolta dell’energia spirituale del paladino affondò all’altezza dello sterno, aprendo una brutta ferita. 
Il costrutto di carne si portò le tre mani verso il basso e osservò dapprima in silenzio il sangue scuro che colava dalla ferita; quindi, compresa finalmente la situazione, focalizzò la sua attenzione sul biondo paladino e per la prima volta ruggì di rabbia e lo caricò.

* * *

Chesterum si precipitò sul compagno ferito non appena ne ebbe l’occasione, lo voltò schiena al suolo e gli prese il viso tra le mani. Era esausto: doveva aver utilizzato le ultime forze per allontanarsi per quanto possibile dalla bestia che fronteggiava ed ora era praticamente inerme, eppure continuava a stringere i due pugnali, uno con la destra ed una con la sinistra, in una morsa istintiva. 
- Ma guarda come ti sei ridotto, folle.  Per tua fortuna ci sono io che obbedisco agli ordini, avventato… lascia fare a me, poi vai lì e finisci il lavoro. – impose la mani sul petto di Dyanor e iniziò una lunga preghiera.

* * *

Selune cadde in ginocchio: la vista era appannata e in gola aveva il sapore acre dello zolfo misto al dolciastro del sangue, eppure aveva evitato ogni colpo del suo avversario.  Con un ringhio di rabbia, misto a dolore, sollevò la mazza sopra la testa, deviando sulla destra la spada del cavaliere che lo sovrastava.  Non avrebbe resistito ad un altro assalto, lo sapeva. 
Cercò di rimettersi in piedi, ma si ritrovò a fissare le orbite vuote della cavalcatura spettrale del suo avversario.  Solo il sinistro bagliore della non-morte, infondo a quel teschio di capra che copriva il muso della bestia. 
- Ridurrò le tue ossa in polvere, mortale. – sibilò nel vento il cavaliere.
- Sta lontano da lui!! – urlò Hytujaram che correndo sopra ai resti del carro corazzato esploso poco prima con un salto caricò il non-morto, piombandogli addosso dall’alto, ma trovando con la sua lama solo il terreno perché il cavaliere era più rapido di un fulmine: tirate le redini aveva fatto voltare la sua cavalcatura e, spronata al galoppo, aveva preso una discreta distanza.
- Tutto bene? – chiese Hytu porgendo la mano al compagno ed aiutandolo a rimettersi in piedi.
Selune mise a fuoco il templare nero che era corso in suo soccorso e si accorse di stare effettivamente meglio.  Scosse il capo ed annuì.
- Scansatevi di lì! – gridò Darhius, poi una serie di frecce scagliate da Nadìr fischiarono sopra le teste dei combattenti per raggiungere il cavaliere ormai a pochi metri dai due.

* * *

Osservava il campo di battaglia dall’alto dei due metri, dall’alto della sua nuova statura e le piaceva quello che vedeva: con gli artigli del demone che era diventata, faceva letteralmente a pezzi qualunque cosa le si parasse di fronte e, per coloro che erano troppo lontani per poter essere raggiunti direttamente, sfere d’ombra più potenti che mai risolvevano la questione.  Era ciò che aveva sempre cercato di controllare e finalmente non temeva più l’abisso essendone lei per prima parte.
A metà tra lucidità e pazzia, Albina non vedeva altro che il nemico, in una folle sete di sangue che provava per la prima volta.  Si sentiva libera, libera di manifestare senza freni o compromessi il potere che per anni, per tutta una vita, aveva cercato disperatamente di ottenere ed ora, in una battaglia senza regole, lei si trovava a suo agio.  Signora del Caos, signora dell’abisso. 
Distese le ali repentinamente per frantumare le ossa di un paio di scheletri che le si stavano avvicinando, quindi le richiuse sulla testa, per proteggersi dal vomito acido dei pipistrelli mutanti provenienti dalla cittadella. Era una macchina perfetta!, fino a quando non avvertì quel senso di vertigine.
Si voltò di scatto, nella folle ricerca della causa di quel malessere, un malessere impossibile da provare, non ora, non per lei!, ma più passava il tempo e più cresceva dentro il petto quel senso di oppressione, così simile a quanto provato nella sua stanza, durante la traversata.  Albina temette di perdere il controllo.
Incespicò in alcuni cadaveri ancora caldi e cadde a terra ruggendo, quindi piantò gli artigli nel suolo e si sollevò per incontrare lo sguardo di quel paladino che dall’alto del suo destriero la fissava duramente.
- Invasore! Cessa questa folle incursione che non porterà ad altro che alla tua disfatta! Torna indietro finchè ne hai la possibilità! –
Come poteva vedere la persona che era oltre la pelle viola del demone che controllava?  Come??
Albina si sentì schiacciata da quella presenza così autorevole e abbassò lo sguardo. Fu allora che realizzò che il destriero altro non era che una cavalcatura spettrale. 

Un non morto!

Non si trattava di un santo guerriero della fede, non si trattava di un alleato che l’aveva scambiata per quello che appariva, era un avversario, un nemico, ed i nemici che la incontravano facevano solo una fine.
Distese le ali, quindi con un colpo secco delle stesse si dette la spinta e spiccò un balzo verso il paladino e gridando le si avventò contro, travolgendolo e disarcionandolo.
- Folle! Non sopravviverai e perirai per mano di Sir Zielek! Ti avevo avvertito!  Che il Creatore mi dia la forza! Che il Creatore mi perdoni!  - E iniziò a tempestare di pugni il demone che lo sovrastava.

* * *

Il generale Masters fissava il campo da battaglia in groppa al proprio destriero.  Accanto a lui l’ammiraglio McRonin evidentemente a disagio a cavallo, si tergeva continuamente la fronte, come se stesse a sua volta combattendo al fianco dei soldati poco distanti.  Un via vai di messaggeri portavano dispacci e ricevevano gli ordini che indirizzavano l’avanzata verso la cittadella.
- Le forze avanzano su tutti i fronti.  Volacotteri e zeppelin, grazie alla copertura dei draghi, procedono rapidamente verso la meta e presto potranno lanciare l’assalto finale alla cittadella. – il generale prese del tabacco da una tasca nella sua giubba e se lo mise in bocca. Quindi afferrò l’ennesimo dispaccio, lo lesse, per poi puntare il dito in direzione di Guardianverno e dei Campi Morti.
- Sull’altro fronte, la ribellione sta fronteggiando le orde di Kelthuzad, ma non resisteranno a lungo.  Contano già dozzine di caduti. –
- Dozzine non sono poi molti, Masters, saranno molti di più a restare su questo campo, ma quanti ne stiamo salvando? –
Il generale fissò lo schieramento alleato in lontananza e riprese:
- Sono già in migliaia caduti, McRonin, si tratta di numeri lo so bene, ma la differenza è che noi contiamo di forze e numeri di ben altro spessore rispetto alla ribellione.  Lenore e i suoi sono un pugno di uomini contro una forza inesauribile… sta a noi fermare l’avanzata, a loro di contenerla per il tempo necessario. –
- Perdonami Masters, se te lo dico, ma sta a noi sacrificare anche l’ultimo lanciere per permettere a Bolvar ed ai suoi di realizzare il Progetto, non dimenticarlo. Non siamo qui per combattere la guerra di Lenore, né per liberare Guardiainverno. –
- Lo so. –
- Molto nobile da parte vostra, direi quasi che la vostra umanità vi fa onore. – quelle parole portate come dal vento gelarono il sangue ad entrambi. 
Passo dopo passo Lady Sylvanas con un sorriso di scherno sul viso si avvicinò ai due condottieri, per nulla a disagio nonostante fosse a piedi e, quindi, sovrastata dai due comandanti a cavallo.
- Non dovresti essere a capo dei tuoi lì sotto? – sbottò l’ammiraglio asciugandosi ancora una volta collo e fronte.
L’elfa non-morta sorrise e incurante fissò il generale Masters.
- Tutto sta procedendo come previsto. – disse contemplando la piana della battaglia.
- Ancora non abbiamo notizie dall’Iracancello, quindi direi che ancora siamo semplicemente un passo più avanti di sei mesi fa, nulla di più, Lady Sylvanas. –
- Gli uomini brillano per ottimismo, mi dicono. –
- L’ottimismo l’ho lasciato a Stormwind, preferisco essere realista in battaglia. –
- Molto giusto generale. –
Un trambusto attirò l’attenzione dei tre alle loro spalle: evidentemente i soldati della scorta dei due condottieri avevano dei problemi.
- Nessuno può procedere oltre! – gridò uno di loro, prima di essere scaraventato al suolo da un gigantesco orco.
Il generale Masters sorpreso lanciò un’occhiata alla signora della Città Morta la quale, impercettibilmente, gli annuì.
- Fateli passare! – ordinò il generale.
Accanto al corpulento orco un esile non morto al seguito dell’elfa.  Il non-morto, avvolto in drappi vermigli bordati d’oro, si appoggiava ad un bastone ricurvo e camminava a fatica.  L’ammiraglio McRonin non mascherò il suo disgusto per quello che aveva tutta l’aria di essere un evocatore ed anche Masters si dovette trattenere, visto l’odore nauseabondo che emanava la creatura.
- Dimmi Luther, perché non sei a terra a liberare i tuoi… amici? – chiese divertita la regina dei non-morti.
- Mia regina, perdona la mia insolenza, ma porto nefaste notizie. –
Il sorriso divertito dell’elfa sfumò in un ghigno minaccioso. – Continua. – disse.
- E’ Varimathras, mia regina. E’ un colpo di stato. –
Lady Sylvanas Cavalcavento rimase in silenzio per qualche istante, quindi fissò con calma il messaggero, prima, e il generale Masters poi.
- Generale, ritengo che la mia presenza sia più necessaria in patria.  Confido che il suo realismo porti ai risultati sperati. –
- Me lo auguro anche io. –
Voltate le spalle al campo da battaglia, seguita dal suo fedele servitore e dalla sua guardia del corpo, Lady Sylvanas lascilò la sua posizione. Aveva un portale da prendere.

* * *

- Che il Creatore mi guidi! – gridò mentre fracassava il cranio dell’ennesimo scheletro guerriero con la sua mazza avvolta da una luce dorata, quindi avvertendo l’ennesimo crepitio alle sue spalle, si voltò di scatto, giusto in tempo per essere centrato in pieno petto da una spada arrugginita di un non-morto emerso dal terreno.  Shockwave però indossava le vestigia sacre e godeva del favore del Creatore e per questo non temeva nulla.  Il suo coraggio lo guidava, la sua fede lo conduceva per mano in quello scontro epocale.  La spada si infranse sul suo pettorale rinforzato andando in mille pezzi.  Alcune schegge luccicanti andarono ad impattare sul suo elmo che ancora una volta lo protesse.
- Dammi la forza! -  gridò ancora e il Creatore rispose nella sua testa e nel suo cuore, prima che nel suo braccio.  La sua mazza divenne più leggera ed avvolta da una luce azzurrina che le conferì ulteriore potere dirompente.  – Giustizia! – continuò Shockwave attraversando le ossa del nemico senza alcuna difficoltà o resistenza.   
Si voltò su se stesso ancora una volta evitando per puro caso, o provvidenza, la scure di un combattente, ma questo lo portò a dare le spalle all’Iracancello ed alle forze ostili al seguito di Arthas.   Così, mentre inneggiava al suo Dio e menava fendenti senza sosta, non si accorse dei due combattenti nordici armati di scure che lo avevano preso di mira e che, lasciati a terra i resti agonizzanti di altrettanti soldati alleati sconfitti, a larghe falcate, nell’anonimato del caos generale, si preparavano a prenderlo di sorpresa.

* * *

Bolvar Fondragorn respinse la carica di due enormi zombie col suo scudo: attingendo alla rabbia che sentiva scorrergli come linfa vitale nelle vene, spinse con tutto il suo peso lo scudo in avanti, imprimendo il leone dorato che lo adornava al centro sul tronco delle due creature.  La carne putrescente esplose al contatto e il sangue scuro punteggiò la neve ai suoi piedi, prima di coagularsi rapidamente. Il condottiero calò quindi la spada contro un Vyrkul che stava per avere la meglio su un suo sottoposto, per poi riprendersi ed assicurarsi che l’arcimago non fosse in pericolo.  Alzò lo sguardo quindi alla collina quando il suono di un corno fin troppo noto echeggiò nella vallata. 
Dal promontorio orientale, dall’avamposto di Kor’Kron, l’Orda al seguito di Saurfang attendeva l’ordine.  Gli orchi, a cavallo di worg si disposero in linea, quindi il comandante sollevò la sua ascia bipenne e gridando “Andiamo, figli dell’Orda! Sangue e gloria ci attendono!” si lanciò in combattimento.
- Vittoria o morte!! -
La cavalleria orchesca dilagò sul fianco, falciando i non morti che incontrava lungo la sua strada e decapitando quelli a portata. 
- Lok'tar ogar! Per L’Orda! – continuava, incitando i suoi.
Raggiunto infine il centro dello scontro, lasciarono i lupi liberi di avventarsi sui Vyrkul, mentre a terra, ingaggiarono contro le forze non morte.  Saurfang il giovane prese posto accanto alla sua controparte umana.
- Credevo non arrivassi più! – disse Bolvar con un sorriso di sfida.
- Per lasciare a voi dell’Alleanza tutto il divertimento? – rispose l’orco calando la sua ascia su molteplici avversari.
Poco più in là, seguita da un elementare d’acqua alto quasi il doppio di lei, Seilune partecipava allo scontro con una ferocia non sua o, per essere più precisi, mai osata prima.  Ogni creatura che congelava per poi frantumare, ogni bersaglio dei suoi incantesimi, le ricordava i massacri condotti dai seguaci del re de lich contro la sua gente.  In diverse occasioni la maga del gelo trattenne i suoi incantesimi più letali, per ripiegare su lance di ghiaccio perché desiderava aspettare colui che tirava le fila di quelle creature immonde e sapeva che presto il momento sarebbe giunto.
Con la coda dell’occhio poi osservava il suo nuovo amico e così si accorse prima di lui della minaccia che preso lo avrebbe raggiunto, cogliendolo alla sprovvista con conseguenze a dir poco nefaste.   Ordinato all’elementale di finire l’avversario che aveva di fronte, scomparve in una nuvola azzurrina per comparire una decina di metri più avanti, proprio tra il paladino e i due aggressori.  I due Vyrkul vedendo comparire la piccola gnoma improvvisamente, si bloccarono, quindi commisero un errore fatale: mai valutare l’entità della minaccia dalla sua stazza.  Il primo sorrise al secondo, che si sistemò l’elmo cornuto sul capo, prima di sollevare ridacchiando la gigantesca scure a due mani sopra la testa.  Seilune guardò i due giganteschi uomini dei ghiacci con due occhioni spauriti, si portò le mani alla fascia blu cobalto intorno alla fronte, quindi schioccò le dita ed il primo scomparve in una nuvola di fumo. Al suo posto una pecora spaurita.  L’ascia, rimasta a mezz’aria, descrisse un arco e cadde sulla schiena della povera pecora, passandola da parte a parte e bloccandosi nel terreno gelato.  Subito la pecora agonizzante riassunse le sembianze originarie tra gli occhi prima terrorizzati, poi inferociti del secondo guerriero che tentò di reagire, inutilmente però.  Un dardo di ghiaccio gli centrò il viso che divenne bluastro prima, prima di congelare completamente.  Seilune si domandò mentre l’umanoide si portava le mani alla gola e rotolava come un folle a terra se la morte lo avrebbe colto prima per congelamento o per soffocamento.
L’arrivo di Saurfang e degli orchi al suo seguito sbilanciò a favore delle forze alleate lo scontro e non arrivando truppe fresche dalla fazione opposta, ben presto il campo venne dominato da uomini ed orchi ed un silenzio irreale scese sull’Iracancello.
Seilune si avvicinò al suo amico, il quale in silenzio la salutò con un sorriso carico di affetto, quindi entrambi, come il resto dei soldati, focalizzarono l’attenzione sui rispettivi comandanti che fianco a fianco, seguiti dall’arcimago Alvareoux, avanzarono verso l’Iracancello per fermarsi a metà strada tra le truppe alleate e il maestoso ingresso di acciaio temprato. 
Era semplicemente spaventoso: incuteva un timore reverenziale anche senza la presenza di una minaccia immediata.
Bolvar strinse con forza la sua spada e lanciò un’occhiata a Saurfang che con un cenno del capo rese chiare le proprie intenzioni. Era pronto.
- Arthas! – gridò il generale di Stormwind – Il sangue di tuo padre, della tua gente, reclama giustizia! Fatti avanti, codardo, e rispondi dei tuoi crimini! –
Un silenzio terrificante seguì le parole cariche di determinazione di Bolvar Fondragorn, poi, come se l’ossatura stessa delle Northerend iniziasse a scricchiolare, le fauci di acciaio serrate che componevano l’ingresso vero e proprio del cancello, iniziarono a aprirsi.
Era imponente, maestoso, regale, possente.  Alto più di un Vyrkul, dall’alto dei due metri, il signore dei Lich attendeva immobile che il cancello si aprisse completamente.  Mano a mano che le fauci si spalancavano, i suoi calzari invernali, la sua armatura a piastre, la sua leggendaria spada e il suo elmo si mostrarono alle forze alleate.  Arthas iniziò ad avanzare.  Dai suoi occhi, la luce spettrale della non vita irradiava sinistre scie, gelide, degne del signore dei ghiacci che era.  A larghe falcate, incurante della palese inferiorità numerica, Arthas procedeva verso i due generali.  Come tuoni in lontananza il suo respiro echeggiò nella valle ritmicamente. 
Infine la sua voce, profonda, echeggiante, trasportata dal vento gelido del Nord, tuonò nella spianata di Angrathar.
- TU parli di giustizia?! O di codardia?, lo redarguì, Ti mostrerò la giustizia della lapide e il vero significato della paura. –
Avanzò ancora e dal terreno emersero centinaia, miglia di morti animati, soldati che in passato avevano provato la stessa impresa… fallendo e lasciando le proprie spoglie sul campo.
Saufang il Giovane, anche detto Dranosh che nel linguaggio degli orchi significa “cuore di Draenor”, figlio di Varok, ne ebbe abbastanza.  Stretta la sua possente ascia con entrambe le mani, superò il compagno e passo dopo passo caricò:
- Basta parlare!, gridò mentre iniziava la sua carica, Facciamo la finita! -

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren

Shockwave

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Re:Figli dell'Ultima Alba XXX - Capitolo 21: Gli eroi dell'Iracancello (I)
« Risposta #1 il: Febbraio 14, 2015, 05:06:40 pm »
Grandissimo Pietro!!  :RNR: :RNR: