Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XLII - Capitolo 33: In trincea  (Letto 1182 volte)

Sceiren

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Figli dell'Ultima Alba XLII - Capitolo 33: In trincea
« il: Novembre 11, 2015, 05:59:35 pm »
Sono passati oltre quattro anni da quando ho iniziato questo terzo ed ultimo atto delle cronache.
Quando iniziai a pensare a questo racconto, non avevo un titolo, non avevo delineato la storia principale e men che meno avevo idea delle linee secondarie, quello che sapevo era che i nostri eroi avrebbero raggiunto le Northerend e, quello che volevo da questo terzo ed ultimo racconto, era trasporre parte dell'atmosfera vissuta durante quella espansione. Solitudine, tristezza, abbandono, nostalgia.  Così, senza alcun preavviso, iniziai a scrivere un paragrafo, un paragrafo avanzato: il dialogo tra Lòre e Sceiren dentro la tenda.  Ho immaginato quella situazione, il freddo, la solitudine imposta dagli eventi e la tempesta senza fine fuori Icecrown.  Ho scritto quel paragrafo quando ancora non avevo la più pallida idea di come sarebbero arrivati lì, ma solo che avrei fatto in modo che accadesse. E da allora quelle righe hanno impostato la direzione, la lanterna nella nebbia, la guida che mi ha portato per mano nella stesura del racconto che sto portando avanti.
A distanza di anni, quando per molti versi pensavo che non ce l'avrei fatta, ecco il capitolo che attendevo scrivere forse più di qualunque altro: il passato si integra nel presente!
Buona lettura.


33
In Trincea

L’attacco della regina del sangue aveva reso evidente al Generale Masters ed ai suoi ufficiali che il Re dei Lich li temeva.  Se inizialmente avevano considerato il contagio come un nefasto evento fortuito, l’aver appreso che si trattava della regina Lana’thel aveva convinto i graduati e il leader dell’esercito alleato che non poteva essere un caso il suo attacco. 
Per questo non aveva perso tempo: non appena i contagiati migliorarono quel tanto che bastò per rassicurare i guaritori e gli esperti che non fossero più contagiosi, aveva dato ordine di smontare il campo e ripartire alla volta di Icecrown.
Avevano già rallentato fin troppo.
L’avanscoperta e le guide erano state tutte concordi: non vi era altro modo per accedere ai domini di Arthas se non per la porta principale.
Grottesco. 
Si erano divisi da Bolvar e Saurfang per sfruttare l’effetto sorpresa ed ora puntavano esattamente all’Iracancello dove, non vi era alcun dubbio, il re traditore li attendeva in forze. 
Per l’ennesima volta il generale si chiese se non stesse conducendo le proprie forze alla disfatta e ancora una volta si convinse che non aveva altra scelta. Non aveva altra strada. 
Il gigantesco esercito, così, piegò verso nord-ovest, lasciandosi la Torre dei Draghi alle spalle e puntò direttamente alla meta.
Col passare dei giorni, il freddo rigido delle Northerend si fece sentire e la temperatura scese di parecchio sotto lo zero.  I cadaveri dei soldati che cedevano al freddo abbraccio della morte bianca, che si addormentavano la sera per non risvegliarsi la mattina, iniziarono a punteggiare le distese alle spalle dell’esercito, per essere seppelliti alla meno peggio dalla retroguardia alla quale era stato dato quell’ingrato compito.  Il freddo stava mietendo le sue vittime, un avversario ben più pericoloso dei nemici affrontati fino a quel  momento.
Mai come in quei giorni, il morale delle truppe crollò sotto il peso della fatica, del freddo e delle vittime sempre più numerose e, come prima conseguenza, iniziarono le prime diserzioni, i primi abbandoni e, per chi veniva recuperato dalla retroguardia o dai cacciatori, le prime esecuzioni.  Misure eccezionali e dure che, però, contribuirono ad appesantire l’atmosfera, invece che migliorare la situazione.
In un certo senso, la presenza di un nemico è talvolta più utile di quella del proprio alleato ed infatti, quando l’Iracancello si stagliò all’orizzonte con tutta la sua tetra e minacciosa presenza, l’esercito si ricompattò intorno ai propri ufficiali ed il campo venne allestito senza disordini, lamentele o fughe.
Il generale Masters si era consultato con i suoi ufficiali prima di scegliere di fermarsi così distante. Non voleva ingaggiare lo contro, non subito, non senza una lettura delle reali condizioni del campo sul quale avrebbe marciato. Del resto, la Piana di Argothar era una conca maledetta per una forza tanto vasta, un imbuto in cui si sarebbero dovuti schiacciare e dove il numero non sarebbe stato un vantaggio come in passato, ma quasi un problema da gestire.  Inoltre, abbattere l’Iracancello non sarebbe stata cosa facile.  Sapeva bene che avrebbe perso molte risorse in quel tentativo: non poteva attaccare con gli ultimi volacotteri e zeppelin rimaste perché la contraerea li avrebbe spazzati via e non poteva neppure semplicemente lasciare caricare i carri nanici senza adeguata copertura.  In pratica, avrebbero dovuto caricare contro una montagna di ferro e pietra e scardinarla pezzo dopo pezzo… e per farlo avrebbero dovuto muoversi lentamente, ad ondate, con un prezzo da pagare incredibilmente alto.
Per questo, prima di tutto per questo, il generale stentava a dare il via all’operazione. Si sentiva il peso di quelle vittime dentro, nel petto, e il loro sangue sulle mani.  Se lo sentiva anche se ancora non aveva neppure ordinato la carica.
Al secondo giorno di sosta, però, le circostanze cambiarono in un modo che neppure il più ottimista dei membri dell’esercito alleato avrebbe neppure solo lontanamente potuto sperare!
Inizialmente fu un rombo proveniente da ogni dove. Portato dal vento. Un frullio ripetuto e amplificato dalle eco, poi, da sud-est, si era avvicinata alle forze alleate una gigantesca macchina da guerra volante!  Sospesa a mezz’aria, abbastanza lontana da catapulte, baliste e incantesimi, la nave volante aveva ruotato sul proprio asse mostrando la regale polena che occupava quasi un terzo dell’intero mezzo alle truppe: la testa di un’aquila dorata.  Masters, messo al corrente, abbandonando i convenevoli del grado, si era precipitato fuori dalla sua tenda per poter accertarsi di persona di quanto riportato dai suoi sottoposti: era lì ed era reale.  La più letale macchina da guerra voltante dell’Alleanza. L’incrociatore sospeso Spaccacieli. 
La nave, sorretta dalle sue gigantesche eliche che puntavano verso il basso, smise di fluttuare a mezz’aria, per perdere lentamente quota ed adagiarsi a terra, mentre le quattro eliche (le due verticali e le due di propulsione a destra e sinistra della enorme testa d’aquila) iniziarono a ridurre i propri giri.  Dal fianco, si aprì un portellone ed una scala in metallo si allungò fino al suolo.
Nella sua scintillante armatura completa, col mantello che ondeggiava agitato dall’aria scossa dalle eliche, un raggiante Lord Fondrin scese baldanzoso.  Scalino dopo scalino, accorciò la distanza dai curiosi dabbasso, poi incrociò gli occhi cerchiati di stanchezza di Masters e si fermò, allargò le braccia come per abbracciarlo, e scendendo due a due i gradini lo raggiunse per stringerlo come un avrebbe potuto un fratello.
- Ce l’hai fatta!, generale! – disse fissandolo dritto negli occhi e riacquistando un po’ di formalità.
- No, sei tu che ce l’hai fatta! Non avrei potuto sperare di meglio! – disse il generale continuando a fissare la fiancata della nave.
- Direi che il mio equipaggio ha bisogno di birra e carne e, francamente, anche io.  Ed offri tu! – disse dandogli una pacca sulla schiena.
- Assolutamente. Falli scendere: troveranno quanto cercano.  Tu, invece, sarai mio ospite e tra un bicchiere e l’altro… -
- … pianificheremo l’attacco! – sussurrò minaccioso.

* * *

Con il supporto della Spaccacielo l’avanzato delle forze alleate ebbe tutt’altro seguito.  Le truppe dilagarono sul campo ancora fumante, marciando sulle ossa carbonizzate delle truppe sconfitte di ambo gli schieramenti ed evitando i focolai di fuoco di drago ancora accesi.  Le fiamme di Alextrazda e dei suoi figli ardevano ancora, incuranti del freddo, incuranti della pioggia, incuranti del tempo che passava, quasi a sottolineare che la fiamma della vita non può essere spenta neppure dalla più gelida delle volontà.
L’incrociatore, dal canto suo, superò le truppe terrestri e fece fuoco sull’Iracancello aprendo un varco.  La resistenza opposta dai non-morti e dei Vyrkul presenti non fu neppure capace di fare rallentare l’avanzata per quanto insignificante.  Le truppe esultarono; gli ufficiali invece no.  Ciò che non era stato a difesa del cancello, stava senza dubbio attendendo poco oltre.
Arthas si preparava allo scontro finale con tutte le sue armate, laddove era più forte.
L’entusiasmo per la vittoria si spense assieme alle luce del giorno dell’avanzata e con la notte, giunse la bufera.  Una bufera di neve apparentemente infinita si abbattè sulle armate del Consiglio, seminando scompiglio nell’accampamento, sradicando tende e spengendo i fuochi.  La mattina seguente, tra dispersi e morti per ipotermia, all’appello mancavano dozzine di combattenti. 
Iniziò a serpeggiare prima tra gli gnomi, poi tra gli uomini, infine un po’ in tutti gli schieramenti, la voce secondo la quale la tempesta della notte prima era stato il benvenuto del Re dei Lich, il suo benvenuto a tutti loro.  Il morale crollò nuovamente e, questa volta, non vi era nessun bersaglio a breve termine che avrebbe potuto risollevarlo, Masters lo sapeva bene: non avrebbe potuto attaccare la fortezza di Arthas neppure se avesse voluto, non senza le informazioni che attendeva, non senza il ritorno di Colèra.
Così quanto più vicina si faceva la Cittadella del Re dei Lich, tanto più l’ansia per quello che si prospettava essere sempre più probabile un assedio invece che un assalto diretto. 
Con l’abbassarsi della temperatura, poi, e lo stagliarsi in lontananza della torre più alta della cittadella, il timore dell’ufficiale divenne realtà. 
Mandò in avanscoperta le truppe di Gilneas e quando queste tornarono, ebbe conferma dei timori avuti durante l’assalto all’Iracancello: di fronte alla Cittadella, un anello di non-morti attendeva immobile, incurante della incessante tempesta di neve, come ombre, come statue orrende e terrificanti.  Armati.  Massicci.  Non-morti a perdita d’occhio.  Oltre di questi, le alte mura di Icecrown con le sue guglie affilate e minacciose.
McRonin non disse nulla, ma in silenzio rimasero anche gli altri componenti del consiglio di guerra quando il comandante worgen delle truppe di incursori di Gilneas riportò le informazioni sull’appostamento del nemico.
- Saranno ventimila, forse di più, erano a perdita d’occhio. I miei si sono allungati cercando un varco nelle difese, ma non c’è. Dovremo sfondare. –
- Col rischio di essere circondati dalle frange più esterne della formazione! – disse Devin stringendo il proprio simbolo sacro.
- E che sia! Li massacreremo uno dopo l’altro! – ruggì Brazgul dando un calcio alla propria sedia e mandandola in frantumi.
Il generale Masters, con le mani giunte come in preghiera ed appoggiate sulla bocca ascoltava e rifletteva. Quindi prese la parola.
- Dovremo caricarli, senza dubbio, ma non oggi.  McRonin, da ordine che venga scavato un fossato. Lo voglio tra noi e loro, un fossato capace di intrappolare anche un abominio.  Devin: organizza pattuglie a medio e lungo raggio. Che nulla si muova senza che noi non lo si venga a sapere per tempo.  Organizzate staffette per la trasmissione delle informazioni.  Brazgul: i tuoi cacciatori sono i migliori di Azeroth, ma ne servono di più.  Organizzati con i cacciatori delle altre razze e delle confraternite e coordina l’approvvigionamento di viveri.  Luther: di te ho bisogno qui.  –
- Posso aggiungere che occorre organizzare il campo affinché sia in grado di reggere la neve? Ho una certa esperienza a riguardo e comunque, l’equipaggio della Spaccacielo è abituato a questo clima. Sarà una valida risorsa. –
- Procedi. – tagliò corto Masters. Quindi, rimasto solo con il non-morto, si alzò in piedi.  Era torvo in viso.
- Interessante: un assedio ad una fortezza di non-morti. –
- Ho… apprezzato che non hai commentato i miei ordini. – disse prendendosi la destra nella sinistra dietro la schiena il generale.
- L’orco avrebbe caricato a testa bassa se l’avessi fatto e non è il momento… non che non mi sarei divertito ad assistere. – disse tossendo prima di scoppiare in due, tre violenti colpi di tosse.
- Ti ho voluto qui perché per te ho un compito speciale. –
- Immaginavo. Uno di quei computi speciali scomodi da chiedere. –
Masters lo fissò di da sopra la spalla, quindi tornò a fissare la mappa della regione di Icecrown di fronte a sé.
- Voglio sapere se rieni possibile..., fece una pausa prima di schiarirsi la voce, mi chiedo: i tuoi sarebbero in grado di fare da spazzini durante l’avanzata? –
Luther non comprese inizialmente, quindi si sedette e prese a giocherellare col suo bastone.
- Spazzini? –
Masters si voltò verso l’evocatore:
- Durante l’avanzata voglio che i tuoi si occupino dei nostri morti e che si assicurino che restino tali.- Luther sorrise.
- Sarà fatto. –

* * *
 
Passarono i giorni e con essi, una settimana, poi una seconda.  I lavori voluti da Masters erano conclusi. Una miriade di tende punteggiavano la distesa innevata cinta in un abbraccio ad Est dalle aguzze montagne che si allungavano fino alla regione dei Picchi Tempesta e, dall’altra parte, ad Ovest, dalla distesa che si infrangeva sulle mura della cittadella del nemico le cui torri, quando la bufera allentava la morsa e la visibilità aumentava, spiccavano minacciosi in lontananza.
I movimenti, tra le tende, erano ridotti al minimo, all’indispensabile, considerato che la temperatura era scesa ulteriormente nell’ultima settimana, toccando picchi davvero preoccupanti. La neve, spazzata da un vento incessante, flagellava il campo senza pausa di sorta, cambiando talvolta direzione, diminuendo la propria violenza, ma continuando il suo moto senza mai una pausa. 
Non vi era mattina nella quale tristemente i curatori non registravano morti per congelamento, prontamente seppelliti alle spalle del campo così come non vi era notte in cui le creature immonde al seguito di Luther non banchettavano di nascosto con quei cadaveri, incuranti del freddo che, invece, paralizzava la stragrande maggioranza delle forze alleate.
I non-morti a copertura della fortezza, dal canto loro, attendevano immobili come silenti statue di ghiaccio. 
Masters, periodicamente, convocava il consiglio di guerra per essere aggiornato sullo stato delle sue truppe e i rapporti che riceveva andavano di male in peggio.  Unica nota positiva, l’attività dei cacciatori che, a dispetto dell’inospitale landa in cui si trovavano, riuscivano fortunatamente a procacciare il cibo sufficiente per non morire di fame.  Il generale, tuttavia, era ben consapevole che anche quel flusso di viveri presto si sarebbe assottigliato, costringendo i suoi uomini a spostarsi più in profondità nel ghiaccio… rallentando gli approvvigionamenti e, in definitiva, costringendoli a muoversi a prescindere dal ritorno o meno dell’informatore.
Passava il tempo a fare conti come un semplice commerciante alle prese con un viaggio da organizzare: valutava le tonnellate di cibo e acqua rimaste, i morti, i fuggitivi che, a dispetto del passato, non richiedeva più venissero rintracciati e puniti.  Le condizioni climatiche proibitive erano tali da rendere questa caccia all’uomo rischiosa per i disertori quanto per i loro cacciatori.
Non ne valeva la pena. Perderei il doppio delle truppe per non risolvere poi alcun problema.
Il generale si stropicciò gli occhi stanchi e ricontrollò i suoi calcoli.  Altre due settimane, tre al massimo, poi avrebbero rischiato di non avere i mezzi per rientrare, se vincitori.  Neppure prese in considerazione l’altra eventualità.
Annuì preoccupato alle scartoffie e si mise in piedi, quindi afferrò il pesante mantello d’orso e si assicurò di essere ben coperto, prima di avviarsi all’uscita… dette un’occhiata fuori: il vento ululava spazzando il campo con violenza.  Le tende venivano scosse come fuscelli e a quello spettacolo Masters non potè non ringraziare i fati per aver avuto il supporto di Fondrin e dei suoi uomini per rendere sicura la tendopoli. Probabilmente senza i loro accorgimenti, le vittime sarebbero state in numero assai maggiore e rilevante.  Il freddo glaciale lo raggiunse penetrandogli nelle ossa e strappandogli un brivido di freddo.  Istintivamente l’uomo si rintanò nella sua tenda e riprese fiato.  Si stava abbastanza bene lì e per raggiungere i suoi alloggi avrebbe dovuto affrontare quella tempesta per diversi minuti… non ne valeva la pena, non quella notte.
Guardò con un sorriso tirato l’austera cassapanca che occupava parte dello spazio sul fianco e valutò che in fondo non aveva l’aria di essere poi così scomoda.  Annuendo all’idea che gli era venuta in mente e valutata l’alternativa che aveva, si avvicinò e sdraiatosi alla meno peggio, crollò in un sonno profondo.

* * *

- Fa’ attenzione. –
- Sì. –
- Hai le frecce di segnalazione?  Le hai con te? –
L’elfa indicò la faretra.
- E l’acqua… l’acqua ce l’hai? Aspetta, meglio quella evocata, non congela. -  e senza attendere una risposta formulò un incantesimo materializzando una serie di borracce rilucenti di un’aura color oro.
- Sceiren, grazie, questa è utile, ne prendo due.  Potrebbe servire anche ad altri. –
- Non mi interessano gli altri, mi interessi tu! – tagliò corto Sceiren alzando il tono della voce per sovrastare un improvviso ululato del vento.
- Senti sono certo che se la caverà egregiamente. – si intromise Lòre, ma il mago non la prese ben lo zittì con un eloquente cenno della mano.
L’elfa fissò stizzita il mago, quindi inspirò e afferrò per il viso l’elfo con le mani e gli sorrise troncando con un bacio l’ennesima raccomandazione.
Quindi separandosi lo fissò riflettendo negli occhi lucenti di lui i propri.
- Andrà bene, so badare a me stessa. Staremo fuori un paio di giorni al massimo e quando torneremo, carne per tutti. Non preoccuparti. –
Era forse la prima volta che lo baciava in quel modo, almeno da quando era tornata.  Rimase interdetto, come pietrificato.  Fissò Silvèr senza aggiungere nulla, quindi sorrise, finalmente sorrise. Dimenticandosi delle raccomandazioni di Zaltar, a ruota libera, rispose all’affetto dell’elfa:
- Non mi lascerai di nuovo, non posso permetterlo, non lo farai.  Ti ho ritrovata e non ti perderò ancora. – le lacrime a stento tenute oltre le palpebre rifrangevano la luce immortale dell’elfo, spezzettandola in una miriade di schegge lucenti.  Silvèr sorrise e afferrando la faretra rispose sicura:
- Non accadrà. – e salutato con un cenno del capo il mezz’elfo, uscì all’esterno.

* * *

I giorni seguenti, purtroppo, furono semplicemente terribili.  La morsa del gelo non aveva concesso tregua alcuna alle migliaia di soldati accampati sulla Piana di Icecrown, spirando con una forza fino ad allora mai registrata.  La temperatura era scesa ulteriormente, rendendo persino ai non-morti complicato muoversi all’esterno.  Centinaia di cadaveri erano stati seppelliti dalla bufera di neve nel campo stesso, non essendo neppure contemplabile l’idea di muoverli fuori da esso.   
L’ululato del vento copriva i silenzi delle truppe che cercavano riparo dentro le tende e le urla di dolore dei feriti che presto avrebbero trovato lo stesso fato dei caduti in battaglia.  Non vi era modo per salvarli tutti, non lì, non sotto quella tempesta di neve e ghiaccio.  Le erbe medicinali erano esaurite, le riserve d’acqua come anche il cibo cominciavano a scarseggiare. Accendere un fuoco era complicato e non sempre possibile, parlare un’impresa a causa del vento, la solitudine imposta dalle circostanze faceva vittime in un numero sempre maggiore di soldati: la frustrazione e la paura profonda serpeggiavano rapidamente da plotone a plotone, da tenda a tenda… nessuno era immune, nessuno era al sicuro, neppure i più risoluti, neppure coloro che da sempre davano l’esempio e sollevavano il morale alle truppe, anche dopo la sconfitta, anche nei momenti più cupi.   
Sceiren si strinse più stretta la coperta addosso, fin sopra al cappuccio calato e si spinse schiena contro schiena all’amico mezz’elfo, anch’esso avvolto in un manto scuro, punteggiato di neve.  Nonostante dentro una tenda, la neve pareva trovare la strada per entrare e comunque, la temperatura era tale da non essere minimante temperata dal riparo ne, quale si erano rifugiati i due amici.  L’elfo fissò da un piccolo squarcio nel telo il mondo di fuori e l’ennesimo brivido percorse la sua spiana dorsale, scuotendolo e strappandogli l’ennesimo gemito.  Era accecante la neve, accecante come il sole in piena estate… che incredibile accostamento!   In un altro momento avrebbe sorriso al solo pensiero… ma quella sera, alla disperata ricerca di calore, in quella landa glaciale e desolata, la sola idea di sorridere era qualcosa di inafferrabile.  La voglia stessa di farlo era stata risucchiata via, fuori dalla tenda, e perduta chissà dove, trascinata lontano dalla bufera. 
- Non hai freddo, vecchio mio, è solo nella tua testa! – gridò Lòre per farsi capire bene dall’elfo.
Sceiren non voleva starlo a sentire perché aveva torto e ragione al contempo, perché era ben consapevole che ciò che aveva sterminato i soldati negli ultimi giorni non era solo l’abbassamento della temperatura, le violente raffiche di vento o la neve, il ghiaccio, la fame, la sete o le malattie… quanto la consapevolezza, sempre più marcata, che la calma piatta imposta altro non era che il preambolo della fine.   Sceiren non potè non pensare alle conseguenze della loro disfatta, alle conseguenze per i Reami dell’Est, per tutti coloro che speravano nella riuscita della campagna militare della quale faceva parte… per Illentar che aspettava il suo ritorno e soprattutto per Silvèr che, chissà dove, forse gli sarebbe sopravvissuta, almeno per il momento.
- Ma ti rendi conto di come è migliorata la nostra situazione nelle ultime settimane, Sceiren?: siamo passati dall’essere un diversivo ad essere la punta di diamante dell’offensiva! Non è fantastico? -
Le labbra dell’elfo si dischiusero senza che lo volesse.  Sentì dolore, solo per un istante, quando in diversi punti si lacerarono per quel semplice gesto, ma non potè negare a se stesso che le parole dell’amico avevano sortito un effetto di un qualche tipo, qualcosa comunque di positivo. 
- Co..a? – biasciò l’elfo non riuscendo ad articolare nulla di più.  La gola era secca, le labbra doloranti, la lingua gonfia.
- Volevo… dire che dovremmo essere felici dei cambiamenti! Che… dovremmo… - l’ululato del vento soffocò le parole di Lòre sul nascere così come gli scossoni al telo della tenda, come schiaffeggiato da un gigante dei ghiacci.
- Penshi… che … re…erà? Tenda? – biascicò Sceiren.
- Se reggerà? Certo che reggerà! Scommetto due valor che reggerà almeno fino a domani! –
- Due… -
- Sì! Due valor amico! Due! Vuoi scommettere di più? Quanto vuoi scommettere? –
Per un attimo non riuscì a capire la domanda: cosa voleva Lòre da lui? Cosa intendeva dire? Sceiren strinse gli occhi e focalizzò tutta l’attenzione al quesito dell’amico perchè nonostante da sempre avesse studiato la matematica, ora si sentiva come un neonato alle prese con un’equazione.  Una voce dal profondo lo mise in guardia: era la morte bianca che lo stava sfiorando. L’ennesimo brivido di freddo gli percorse la schiena, ma se di solito tentava di contrastarlo, questa volta lo lasciò fare, assaporando il fastidio che gli arrecava fino in fondo.  Sceiren sgranò gli occhi prima di socchiuderli di nuovo, si umettò le labbra e assaporò l’ennesima fitta di dolore, subito attutita dal freddo, oltre a quel sapore pungente, ma inspiegabilmente piacevole, quella fragranza salata, un sapore, una nota stonata, un dettaglio differente su un oceano immoto.  Sangue gelido.
- Ehi amico? Sei ancora qui? – chiese Lòre con voce tremante per il freddo.
- Quattro. –
- Cosa? –
- Quattro va..or. Ne vo..o quattro. – biascicò Sceiren alzando la voce.
- E sia!, rispose Lòre annuendo, sono certo che vincerò e se così sarà mi spenderò tutta la vincità in vino e in carne alla brace e dolci! –
- …urerai… quelli… -
- Come? – chiese Lòre dando un colpo alla schiena dell’amico per farlo riprendere.
- Li …urerai quelli, come sempre fai… -
Lòre rimase in silenzio cercando di decifrare le parole dell’amico, poi voltandosi un poco e sistemandogli meglio la coperta sulla testa sforzò una fragorosa risata che superasse l’ululato del vento.
- Ruberai! Ma certo che lo farò! Come sempre faccio, certo, vecchio mio… ma… solo dopo aver fatto finta di pagare! – poi si voltò e abbracciò Sceiren scosso da una serie infinita di brividi.
- Finirà presto, vedrai, così dice la Seilune, finirà presto e poi, carne arrosto e fiumi di vino, anche per te che bevi appena! –
- Lòre… rome..ttilo.
- Non prometto proprio niente amico mio. –, ma Sceiren non pareva voler ascoltare, così riprese a biascicare con tutto il fiato che aveva in gola.
- …romettilo! Shilv…er, Ieeenntar… romettil…o
Il mezz’elfo strinse gli occhi in due fessure minacciose quindi lasciò scivolare la coperta a terra e si mise di fronte al compagno.  La sua pelle aveva assunto una tinta violacea e le labbra erano quasi nere.   Lòre irrigidì la mascella quindi colpì l’amico con un deciso schiaffo che lo fece cadere su un fianco.  Quindi lo afferrò, lo rimise seduto di fronte a sé e lo compì sulla guancia opposta facendolo cadere di nuovo.  Con le lacrime agli occhi si ripetè due, tre, quattro volte, poi abbracciò Sceiren a sua volta in lacrime, ma vivo.
- Te lo prometto, te lo prometto. – sussurrò, ma l’ennesimo sibilo di un vento impietoso coprì le sue parole, le parole che Sceiren non sentì mai.
« Ultima modifica: Novembre 11, 2015, 10:12:45 pm da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren