Autore Topic: Stelle Cadenti XXXII - 26: L'occhio di Forte Tempesta  (Letto 1363 volte)

Sceiren

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Stelle Cadenti XXXII - 26: L'occhio di Forte Tempesta
« il: Febbraio 23, 2011, 04:10:58 pm »
26
L’occhio di Forte Tempesta


Quando aveva avvertito che i cinque manaforgia si erano arrestati uno dopo l’altro, aveva capito che sarebbe stato attaccato, ma quando aveva osservato attraverso una delle facce del proprio cristallo della visione un gruppo di avventurieri attraversare incolumi le difese poste all’ingresso della sua fortezza e, soprattutto, stupirsi di questo, Kael’thas aveva capito di essere stato tradito. 
Il principe della dinastia caduta dei Sunstrider studiava quelle due dozzine di elfi, uomini, nani e gnomi fissare interdetti il portale disattivato che permetteva l’accesso all’androne principale della fortezza sospesa non riuscendo evidentemente a capacitarsi di quello che era accaduto.  L’elfo del sangue spostò lo sguardo su un’altra faccia che mostrava il manaforgia di sud ovest, la gigantesca struttura eretta dai suoi fratelli per convogliare il mana assorbito da Netherstorm alla fortezza sospesa di Forte Tempesta.  Chiuse gli occhi e si obbligò a lasciare fuori dubbi e timori in modo che la sua mente potesse tornare a ragionare in modo schematico… e ripensò a Lady Vashj.  La regina dei naga aveva sempre ammirato la sua capacità di analisi e di sintesi e se fosse stata lì, al suo fianco, in quel momento, avrebbe riso di lui, lo avrebbe deriso e questo lo avrebbe spronato a riflettere, con lucidità… il principe Kael’thas si ritrovò a constatare che la sua alleata dei tempi andati gli mancava terribilmente.  Non avrebbe però disonorato la sua memoria ragionando come un mortale, così si avvicinò alla prima faccia del prisma e si concentrò sul gruppo che aveva ingaggiato contro le sue guardie.
Così cominciò a porsi domande: per quale motivo attaccare i manaforgia col rischio di attirare la sua attenzione? Perché non attaccare in forza direttamente l’Occhio, visto che, non sapeva come ma era un fatto, avevano l’accesso alla fortezza? Che utilità nell’attaccare i cinque manaforgia?  Kael’thas voltò le spalle alla gigantesca sala ovale percorsa da linee curve di luce viola pulsante e lasciò vagare i suoi occhi verde smeraldo oltre la vetrata che dava sulla vallata di Cosmowrech.  Lo rilassava fissare i fulmini di Netherstorm e il precipizio infinito oltre di esso, la voragine che delimitava i Regni Esterni, il Profondo Nulla, un salto verso lo spazio siderale.  Rifletteva, soppesava le informazioni raccolte, analizzava la situazione sapendo che il tempo a sua disposizione si sarebbe presto esaurito.
- Mio principe, intrusi nel livello inferiore procedono verso la nostra posizione. –
- Sì, lo so, figlia mia. –
Era alta poco più di due metri l’elfa del sangue entrata nella sala.  Leggere vesti da stregone rinforzate con bardature di metalli e gemme preziosi, tipiche degli elfi del sangue, le davano un aspetto di classe eppure letale, letale come il suo volto completamente avvolto in ombre in continuo mutamento, un vortice violaceo che nascondeva le sue fattezze mortali, conferendo alla maga un’aura di immortale.  Al centro di quelle sinistre ombre, come incastonate su un manto di velluto scuro, brillanti come due diamanti illuminati dalla luce del mattino, i suoi occhi.
- Mio principe, disse avvicinandosi e adagiando la destra sull’elsa di una raffinata spada, assicurata al suo fianco, come aveva previsto il momento è giunto.  Si sono mossi. –
- Sì, come avevo previsto… - Kael’thas si voltò di colpo.  Il suo mantello vermiglio ondeggiò e pigramente tornò ad adagiarsi sulle sue vestigia lavorate oltre ogni immaginazione e sfarzo. 
- Mio principe, non siete forse convinto delle mie parole? Ho forse mancato di rispetto al mio signore? –
L’elfo del sangue non dette peso alle parole della sua suddita e si concentrò invece sul suo prisma della visione.  Da una faccia lunga e spigolosa prese forma una città, vista da lontano, una città che non vedeva da tanto, tanto tempo, la sua città, la sua patria.  Anche la sua interlocutrice si avvicinò al cristallo, in silenzio per non disturbare il suo signore.
- Dimmi, Solarian, cosa ricordi di Silverymoon? –
- Mio signore? –
- Hai mai desiderato rivedere la nostra città? Gioire della bellezza delle sue sculture, della purezza delle sue forme? Del calore della sua magia? Hai mai desiderato tornare a casa? –
Solarian non rispose e lasciò correre i suoi occhi lucenti sulla faccia del prisma interrogata dal suo mentore.
- Mio principe, il mio luogo è qui e adesso, come sempre, al vostro fianco.  Il resto non ha senso per me. Porterò la città dentro i miei ricordi, ma nulla di più. - poi lasciò correre svogliatamente l’attenzione su una faccia del prisma ancora oscura e, tra le ombre, Solarian vide comparire una gigantesca figura scura, un gigante di metallo, immobile, al centro di una sala circolare che riconobbe. 
- Mio principe, il Divoratore è fermo, immobile. –
- I manaforgia sono stati arrestati, Solarian, e il Divoratore si alimentava di quel mana… senza di esso… - Kael’thas alzò lo sguardo dal cristallo, fissò per un attimo il viso celato di Solarian e scuotendo il capo torno a concentrarsi sullo spettacolo oltre la vetrata di cristallo.
- Cosa vi turba, mio principe? –
- Nulla, figlia mia, ho solo finalmente compreso quale sia il nostro avversario, quest’oggi. –
L’elfa si avvicinò alla vetrata e si inginocchiò di fronte al proprio principe, chinò il capo e con voce per la prima volta incerta si rivolse a lui:
- Mio principe, perdonate queste parole, ma concedetemi di parlare fino alla fine.  Ho seguito i vostri passi fin qui, ho combattuto per voi, con voi, al vostro fianco ed ho assistito alla sua ascesa, sono stata testimone delle sue scoperte, sconvolta per la gioia quando fondendo meccanica e magia ho visto le sue mani infondere vita a freddo acciaio e mai, in tutto questo tempo, ho messo in discussione una sua decisione, condividendo pensiero e azioni senza dubbio alcuno.  Ora, però, voglio, devo essere io a chiedere che un mio desiderio venga esaudito, mio signore: abbandonate Forte Tempesta e lasciate e me questi insolenti intrusi.  Non rischiate la vostra vita inutilmente quando posso tenere a bada io le forze avversarie, con l’aiuto della Fenice, ma comunque senza la vostra presenza… e se non fossi sufficiente, se le mie forze non fossero in grado di respingere l’attacco, se anche Al’ar, nonostante le sue resurrezioni, dovesse infine cadere, sarà mia cura, con le ultime forze in mio possesso, vincere comunque questa battaglia per voi, sacrificando me stessa e questa arca, abbatterò la minaccia affichè nelle ere future si parli per sempre della vostra grandiosa vittoria.  –
Il principe Kael’thas aveva ascoltato ogni parola della sua fedele Solarian, ma aveva deciso prima ancora che la stessa Solarian avesse iniziato a parlare quale sarebbe stata la condotta che avrebbe seguito per quella sua ultima battaglia.  Avrebbe dato ai suoi figli, a tutti i suoi figli, il regalo più grande, avrebbe garantito loro un futuro, avrebbe permesso loro quantomeno di opporsi alla tempesta che presto si sarebbe abbattuta sul loro mondo.  Kael’thas aveva compreso che quei mortali che presto, lo sapeva, lo avrebbero incontrato, non erano che burattini guidati dai fili mossi dalla più fredda e spietata delle mani che, nell’ombra della sua cripta, governava gli eventi a proprio piacimento. 
Kael’thas posò la destra sul capo di Solarian. Si era aspettato quell’attacco da quando le forze alleate avevano affrontato e sconfitto il demone della profezia, quello che assieme alla regina dei naga aveva fatto tornare dal passato in cui era stato sconfitto, era certo che le sue speranze per un ordine nuovo si erano consumate con la seconda sconfitta del demone Archimonde… tuttavia,  sotto attacco, aveva anche capito che non sarebbe stata la spada di uomini ed elfi a minacciare se stesso e tutti i suoi fratelli, quanto una minaccia di tutt’altra forza e potere.  Così, mentre benediceva per l’ultima volta prima di una battaglia la sua seconda in comando, con voce risoluta, ma velata di una rassegnazione impossibile da celare completamente, le mentì.
- Solarian, possiamo ancora portare il fato dalla nostra parte se continueremo a credere. –
- Ed io credo, mio signore. –
- Non avevo dubbi, figlia mia, ed è per questo che il principe Kael’thas Sunstrider non scapperà mai di fronte a simili insetti, soprattutto perché quegli insetti saranno schiacciati dalla sua ancella prima che possano insozzare con la loro presenza questa sacra sala.  Quindi, figlia mia, alzati e và, raggiungili nella sala della fenice Al’ar e, col suo supporto, sconfiggili e torna qui da me per consacrare la nostra vittoria. –
Solarian rimase in ginocchio ancora per un attimo, quindi si alzò lentamente e senza aggiungere altro, dopo aver salutato con un inchino il suo principe si voltò verso l’ingresso. 

Kael’thas la seguì attraverso il cristallo della visione lasciare la sua sala, imboccare il corridoio che l’avrebbe portata alle scalinate che scendevano di un piano verso la gigantesca sala circolare dove, per secoli, aveva dimorato la sua amata fenice, Al’ar.  Non aveva distolto gli occhi quando tutti i suoi uomini erano stati sconfitti, non aveva smesso di fissare il cristallo neppure quando, trafitta dall’ennesima freccia, la sua amata figlia Solarian era caduta al suolo, esalando l’ultimo respiro.  Era la sua ancella, la sua figlia prediletta, colei che aveva combattuto al suo fianco per tutti quegli anni, ma non rappresentava altro che un elfo del sangue… non rappresentava la rinascita, non rappresentava la ciclicità della vita, non era la massima espressione della bellezza e della magia.  Così, quando le piume della sua amata fenice Al’ar avevano smesso di ardere, quando la sua creatura, ferita dai continui assalti e dagli incantesimi dei suoi assalitori era piombata al centro della sala, il principe rinnegato degli elfi del sangue aveva dovuto distogliere lo sguardo perché sapeva cosa sarebbe successo.  Fissò un ultima volta la fenice a terra e quando vide la carica dei suoi avversari, la carica che avrebbe spezzato la vita della sua amata creatura per l’ultima volta, Kael’thas chiuse gli occhi e, voltandosi verso la vetrata alle sue spalle, ricordò nella mente la creatura che, si diceva, risorgendo dalle proprie ceneri, non avrebbe mai conosciuto la morte come era un tempo: un raggio incandescente di sole e fiamma animata da assoluta purezza e grazia. 
L’aria intorno alle spalle del principe così come sopra la sua testa cominciò a sfrigolare.  Attinse a tutto il proprio potere e il mana, la sua energia spirituale, superò le barriere del suo stesso corpo, concentrandosi in tre globi verdi che, accese dalla sua rabbia e dalla sua determinazione, esplosero in tre fiamme sospese.   Avrebbe fatto quando doveva ma, come aveva detto Solarian, per ere avrebbero parlato di quanto si sarebbe consumato in quella sala.

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren