Autore Topic: Stelle Cadenti XXXIII - 27: Argento vivo  (Letto 1349 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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  • Chi sono dei due? :D
    • Mai dire di no al panda!
Stelle Cadenti XXXIII - 27: Argento vivo
« il: Febbraio 26, 2011, 02:45:54 pm »
27
Argento Vivo


Allargò le braccia e formulò il suo primo incantesimo. Le fiamme smeraldo sospese sopra le spalle e sopra la testa sfolgorarono prima di prendere forma e consistenza condensandosi in  tre sfere, due delle quali più piccole, sulle spalle.   Kaelt’has chiuse gli occhi in estasi per il contatto diretto con le verdantsfere e il potere che racchiudevano. 
- Thaladred, Sanguinar, Capernian, Telonicus. – disse prima di dissipare l’aura che li celava anche alla vista.  Ai lati della gigantesca vetrata la luce soffusa emanata dall’illuminazione della sala si deformò. 
- Mio principe. – lo salutarono all’unisono i quattro ufficiali di nuovo visibili.
- Figli miei, il momento è giusto.  Solarian e Al’ar sono caduti, il Divoratore ormai è inutile.  -   
L’elfa del sangue Carpenian annuì voltandosi verso Telonicus che incoccò la prima freccia. 
- Noi siamo la linea insuperabile, la fortezza che non cadrà, mio signore. – Lord Sanguinar venne avvolto da un’aura protettiva che fece risaltare e brillare la sua armatura color del sangue. 
- Non mi aspetto niente di meno di questo da voi. –
- E come sempre, mio principe, noi non falliremo. – disse infine Thaladred indossando il suo elmo oro e smeraldo.  Le lame sulle sue spalline così come le piastre della sua armatura completa rifletterono la luce di un fulmine. 
I quattro ufficiali di inginocchiarono di fronte al loro principe il quale, in silenzio, posò la mano destra prima sulla sua amata figlia Capernian, poi su Telonicus e infine sugli altri due. 
Il silenzio venne infine spezzato dal clangore dell’acciaio delle amrature degli invasori ormai vicini.
Dall’ingresso alla sala del principe, una spada percorsa da mille minuscole scariche elettriche si piantò nella superficie traslucida del pavimento, penetrando di qualche centimetro, appoggiato alla spada un guerriero avvolto nel fumo. Il suo mantello era strappato in più punti e bruciato in altri.  Non portava l’elmo e i capelli brizzolati erano appiccicati al collo ed alle spalline per il sudore.  Dietro di lui un secondo combattente corazzato di tutto punto  Due fessure aperte su un elmo cornuto senza spiragli all’altezza degli occhi.  Con la mano destra, protetta come la sinistra in pesanti guanti di maglia, brandiva uno spadone finemente lavorato mentre con l’altra un pesante scudo a torre.  Lo seguivano due nani, il primo con una mazza rilucente di una calda luce dorata, il secondo con una mazza rilucente che Kaelt’has conosceva bene. Via via tutti gli altri.  Gli invasori di Forte Tempesta si allinearono di fronte ai cinque avversari.
Kaelt’has fece cenno ai suoi ufficiali di alzarsi prima di fare un passo di fronte a loro e con un sorriso sprezzante attese.
- Siamo i Templari Neri e questa è la fine: o ti consegnerai a noi o incontrerai il tuo destino. –
La voce del paladino era echeggiata nella sala.  Un fulmine cadde poco distante e il tuono che lo seguì, attutito dalla struttura del castello sospeso, si avvertì a malapena.
- Non è che l’inizio invece, mortale. – i suoi occhi spaziarono sulla ventina di intrusi, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
- Vedo che siete venuti al mio cospetto quantomeno con un dono, mi aggrada questo! – e per la prima volta cominciò a ridere.
- Dono? – disse Roredrix fissando Selune che concentrato sul principe decaduto.
- Di cosa stai parlando? – gridò Selune stringendo l’impugnatura della sua mazza chiodata.
Kaelt’has smise di ridere e fissò con i suoi profondi occhi verdi rilucenti del potere delle tre sfere che volteggiavano sopra la sua testa nel mezzo del gruppo.
- Tu! – disse indicando l’oggetto della sua attenzione.
Sceiren si voltò verso Zaltar il quale a sua volta si guardò intorno seguito da Kimmolauz.  Hutyjaram fissò Pioggia, pronto a scattare verso i quattro elfi del sangue intorno al loro bersaglio principale.  Ilaria e Lùce si voltarono incrociando lo sguardo interdetto di Silvèr e di Zapotec. 
- Vedo che la mia opera è stata persino superiore alle mie aspettative. Non ti ricordi di me, costrutto? Non è così?  Non rammenti nulla neppure al mio cospetto?  –
- Non funzionerà Kaselt’has, non ci confonderai! – disse Roredrix rimettendosi in piedi e digrignando i denti per l’ira che avvertiva scorrere nelle sue vene.
- Oh, ma ha già funzionato, ha funzionato più che bene! Non è vero? Il mio costrutto cammina per il mondo, ha svolto il suo compito egregiamente e non rammenta neppure un frammento di quanto è accaduto, proprio come io ho voluto! – 
Nessuno replicò e un innaturale silenzio coprì ogni cosa.
- Molto bene, visto che sei qui immagino difenderai il tuo creatore, non è così? Oppure forse, come uno stolto, ti schiererai contro di me, costrutto? -  Ancora una volta sguardi interrogativi si incrociarono. 
- Non essere timido, fatti avanti e rivelati ai tuoi nuovi compagni di viaggio che ignorano, a quanto parte, chi si portano dietro!, poi sorridendo e riducendo gli occhi a due fessure color smeraldo proseguì, Ma certo, povero costrutto, hai perso la sicurezza tipica delle mie creature, del resto, non sei una macchina… e va bene, ritengo tu abbia bisogno di una piccola… spinta per rivelarti, e sia! – La sfera verdognola sopra la spalla sinistra emise un lampo di luce.  Nel silenzio della sala un grido acuto di dolore echeggiò per qualche istante.  Zaltar sobbalzò, mentre i suoi occhi si inchiodarono sul piccolo anello rosso fuoco che, rimbalzando un paio di volte, raggiunse il centro della sala.  Sceiren rimase senza fiato quando si rese conto di conoscere quell’oggetto.  Intorno all’elfa che fino ad un attimo prima aveva portato quell’anello al dito, si creò il vuoto. Sìlver si ritrovò sola, tutti i suoi compagni avevano istintivamente preso le distanze da lei.  Si teneva la mano destra, l’anulare ustianato si stava ingrossando, il petto le si alzava e abbassava freneticamente, scosso da un affanno incontenibile.  Sceiren fissò l’elfa incredulo, fissò il suo viso sconvolto, i suoi occhi gonfi di lacrime, le sue labbra tremanti.
- Cosa… - sibilò Sìlver mentre

uno smeraldo incastonato al centro di una splendida veste color del sole

anche i quattro seguaci dell’elfo del sangue iniziarono a sorridere sicuri di aver trovato un inaspettato alleato.
- Nulla che tu non abbia espressamente chiesto, mio costrutto, del resto

non aveva voluto niente, solo la sua fiducia e lei si fidava
“Sei veramente sicura di volerlo fare? Voglio dire, non possiamo semplicemente...”
“Semplicemente cosa? Comportarci come una coppia normale?”


è questo che richiedeva il sortilegio.

La magia non è un gioco

Come immagino comincerai a ricordare, non è mia natura ingannare,

come posso ingannare la morte ancora per un po', come posso resisterle, nascondermi ad essa


non ho mai avuto bisogno di questo. –
- Cosa mi hai fatto! – urlò Silvèr portandosi le mani alle orecchie tentando di mettere a tacere le voci che avvertiva nella testa. Voci di elfo, voci di uomo, voci di donna, voci di bambino.

“Nonna Antera!”
“Silvèr!”


L’elfa arretrò di un passo urtando le braccia di qualcuno che tentava di bloccarla si voltò di scatto e i suoi occhi si inchiodarono in quelli di Sceiren, poi

suo fratello distolse lo sguardo. 
- Ancora non sei in grado neppure di fregiarti di questo nome, eppure mi sono speso a lungo per provare a infondere in te la nostra arte.  Cosa non va in te? Che cosa non riesco a superare? La Madre non mi ha reso abbastanza capace, forse? -
- No fratello mio, ho imparato molto! –
L’elfo della luna scosse il capo, quindi indicò con un gesto aggraziato il corridoio.
- Esci, prendi dell’acqua dalla fonte di nord-est, e torna rapidamente. Riprenderemo gli allenamenti.  Ti presenterò tra due lune al Rifugio  di Cenarion a testa alta, sorella mia. – e per la prima volta da quella mattina le sorrise.
Uscì di corsa, afferrò due otri vuote all’ingresso e lasciò il villaggio come le era stato chiesto.  Amava del resto la foresta di funghi e gli acquitrini che circondavano il suo accampamento e che, a perdita d’occhio, si distendevano sulla piana di Zangarmash.  Così, sotto i riflessi cangianti di un cielo stellato in continuo mutamento, superò le guardie celate che proteggevano l’accesso settentrionale e silenziosa raggiunse la fonte, una sorgente spontanea di acqua limpida, difficile da notare per occhi non allenati, nascosta dietro a rigogliosi cespugli verdastri.  Si guardò intorno per essere certa di non essere seguita, scostò il cespuglio e immerse nella pozza di acqua cristallina le due otri, riempendole, quindi si voltò per tornare al villaggio.  Il viaggio di ritorno era sempre più lungo per lei: amava allungare un po’ il tragitto per cogliere qualche erba dei sogni, molto utile agli studi del fratello… inoltre le soste la aiutavano a riprendere fiato.  Anche se carica, sempre in silenzio, tornò sui suoi passi e raggiunto l’ingresso settentrionale rimase pietrificata dal terrore: le due guardie che proteggevano l’ingresso erano a terra, distese, immobili.  Posò le due otri lentamente e si avvicinò di un paio di passi: il terreno era intriso del loro sangue.  Alzò il viso di scatto al sentiero, si concentrò sui suoni inconsueti che avvertiva in lontanaza e non ebbe più dubbi.  Cominciò a correre, incurante di possibili agguati lungo il cammino.  Suo fratello aveva bisogno di lei!  In pochi minuti dal silenzio interrotto dai grilli e dal gorgogliare tipico delle paludi che tanto amava, si ritrovò in un campo di battaglia, ma la battaglia era già finita.  Come a rallentatore arrestò la sua corsa, piombando in orgia di corpi fatti a brandelli.  Senza fiato, lasciò correre lo sguardo sui suoi amici, fatti letteralmente a pezzi da creature serpentiformi di cui aveva sentito molto parlare, ma che non aveva mai visto dal vivo: naga, esseri che dimoravano nelle profondità delle acque della Riserva.  Erano decine, centinaia forse; armati di spade ricuve, quelle creature dal corpo vagamente simile al suo e dall’aspetto di serpente dalla vita in poi, si muovevano per il suo villaggio senza temere più alcuna resistenza.  La ignoravano così come ignoravano gli elfi agonizzanti a terra, salvo quando, divertiti, ponevano fine alle sofferenze dei morenti, con un utlimo colpo di spada.  Avevamo distrutto tutta la sua vita, avevano massacrato ogni elfo del suo villaggio salvo lei, per il momento.  In preda alle fiamme dell’ira, afferrò una lancia da terra e si scagliò piangendo e urlando contro il primo ostile che gli si parò davanti, ma quello che ottenne fu solo di trovare il suolo.  Il naga evitò con semplicità il suo attacco, afferrò con due delle sue quattro mani la lancia mentre con le altre due, entrambe armate con una scimitarra,  la colpì sul entrambe le spalle.   Cadde a terra, fissò la creatura che incombeva su di lei e si preparò a ricongiungersi con la Natura, poi la lancia calò su di lei e tutto vi scuro.

Si risvegliò in un luogo sconosciuto dopo un tempo non valutabile.  Le vertigini non la abbandonavano così non riuscì a fare altro che a mugolare.  I suoi occhi cercarono informazioni sul dove si trovasse e in un vortice di confusione e dolore, indugiarono su uno smeraldo incastonato al centro di una splendida veste color del sole.  Fece appello a tutta la propria forza di volontà per non svenire di nuovo e cercò di mettere a fuoco la figura che la stava accudendo.  Era alta, molto alta, dagli abiti più raffinati che avesse mai visto.  Era come se il sole avesse scelto di cucirli e come se le profondità della terra stessa avessero donato le pietre preziose più rilucenti per rendere quell’abito secondo solo a quello di un dio. 
- Mi compiaccio della tua resistenza, elfa, e della tua ripresa così repentina. – la sua voce era calda, profonda, rilassante.  Si sentiva al sicuro, sapeva che nessuno avrebbe potuto soltanto sfiorarla accanto al suo protettore… ma non era al sicuro, non lo poteva essere! Cercò di avvertirlo articolando frammenti sconnessi del pensiero che voleva manifestare, ma con voce impastata riuscì solo a pronunciare una parola al suo salvatore.  “Naga”.  Voleva metterlo in guardia del pericolo, ma riuscì solo a ripetere quella semplice, terribile, parola, due, tre volte.
La figura dai lunghi capelli color dell’oro, sorrise e le posò la sua mano sulla fronte.
- Non temere per quegli abomini, non potranno farti del male, mai più. -
Si sentì mancare per la felicità, poi crollò di nuovo in un sonno senza sogni.

Le disse che aveva recuperato le forze in poco più di due giorni, le disse che aveva vegliato su di lei per tutto quel tempo e non aveva dubbio alcuno si quelle parole. L’elfo che si faceva chiamare semplicemente Kael non mentiva mai, ne era certa come di se stessa.  Le aveva fatto avere degli abiti nuovi, aveva cucinato per lei, l’aveva curata, lavata, protetta, vendicata.  Le aveva detto che era arrivato troppo tardi per salvare il suo villaggio, ma fortunatamente in tempo per salvare almeno lei dalla furia dei naga.  Le aveva raccontato dapprima in modo distaccato poi, in seguito alle sue numerose domande, con dovizia di particolari anche truculenti, come aveva sterminato le forze assalitrici… da solo.  Le aveva spiegato che il potere non è vincolato al numero, ma solo allo spirito e aveva detto che se voleva avrebbe potuto renderla in grado di vendicarsi.  E desiderava vendicarsi! Kael le aveva mostrato una specie di lettera, scritta su un brandello di pelle di una qualche creatura, che indicava la posizione esatta del suo villaggio, la collocazione delle sentinelle e delle trappole nascoste.  Le spiegò che l’attacco era stato commissionato e che lui le avrebbe rivelato il mandante, non appena la avrebbe ritenuta in grado di sconfiggerlo.  Avevano discusso per ore e ore su ciò che avrebbe detto a colui che aveva ordinato quel massacro e Kael la aveva ascoltata, senza mai interromperla, annuendo, poi le aveva rivelato un segreto.  Era a conoscenza di un rituale capace di conferire potere a un elfo grazie all’infusione direttamente nella sua anima di conoscenza e potere.  Era un rituale proibito che solo lui conosceva, qualcosa che aveva letto in un tomo chiamato “Le cronache dei segreti oscuri”.  Quel rituale avrebbe spostato le capacità di combattimento di un grande guerriero sconfitto nel corpo di un guerriero in vita dallo spirito immortale.  “Quando infine il tempo diverrà senza fine, l’infinito nel tempo troverà la sua fine”.  Una frase enigmatica, gli disse, che non riusciva a comprendere, ma il suo salvatore ne conosceva il significato.  Così le propose un patto: le avrebbe rivelato il mandante solo dopo che avesse assorbito il potere necessario per sconfiggerlo. Gli chiese più volte come avrebbe potuto sdebitarsi, ma Kael non aveva voluto niente, solo la sua fiducia e lei si fidava di Kael.  Il rituale era molto semplice, dal suo punto di vista almeno: avrebbe dovuto sdraiarsi, indossare un anello e addormentarsi.  Non doveva preoccuparsi di altro, il resto era una responsabilità di Kael. 

Nella sua ultima notte, sognò una casa in boschetti lontani, sognò la voce di una donna anziana, sognò suo figlio, un mezz’elfo che sentiva non voleva abbandonare.  Sognò una cava, sognò un drago e sognò… la sua stessa morte. E ricordò il giorno in cui aveva scelto di studiare la magia, ricordò distintamente il suo primo insegnante, sognò se stessa in abiti solenni mentre prendeva la mano di un elfo che le aveva spiegato i segreti di incantesimi elfici che non riusciva a comprendere. Ricordò di essere sposata e ricordò sua madre, una semplice cuoca di un castello lontano, e ricordò suo padre, un soldato delle forze di Stormwind che non vedeva da una vita!


Piangeva, tremando.  Silvèr protese le mani verso Kaelt’has, il suo Kael.
- Perché mi hai fatto questo? - singhiozzò.
- Ho mantenuto fede alla mia parola, costrutto.  Io avevo bisogno che tu adempisse alla profezia e tu avevi bisogno di potere, così ho cercato le mie cavie: un ricettacolo immortale e una stolta umana che cercava informazioni circa l’immortalità.  Non appena la mortale ha finito di vivere tu, il mio costrutto, sei tornata a nuova vita, tu, un elfo, immortale ospitante uno spirito di mortale.  Così ho adempiuto alla profezia e ho completato il rituale.  Morte e vita! –
Sceiren fissò Zaltar, poi l’elfo del sangue, poi di nuovo Zaltar.  Scosse il capo con decisione, non voleva sentire.
- Cosa stai dicendo? – disse con un filo di voce.
- Come, cosa? Non posso credere a quello che vedo! Tu sei l’elfo che ha insozzato la sua stirpe unendosi con l’umana e generando tra l’altro anche progenie! Non posso crederci!  Del resto dovrei ringraziarti: tu mi hai portato uno degli elementi del mio incantesimo e, permettendo che morisse, hai anche completato la tua parte egregiamente… certo, devo dirtelo, qualora la mortale non fosse spirata sottoterra, avrei pensato io a porre fine alla sua esistenza.  I miei sicari hanno circondato la tua casa per settimane, fino a quando la mortale non è morta… Quindi diciamolo, io ti ringrazio per avermi evitato la seccatura di pagare quei mercenari e tu mi ringrazierai per tutta la tua vita per aver impedito ai miei sicari di uccidere la maga, suo figlio e te medesimo! Per completare il quadro, mantengo la mia promessa di allora: sono io il mandante dell’attacco, costrutto, perché grazie a quell’attacco mi sono garantito la fiducia di un elfo immortale! -
- Maledetto! – gridò Silvèr in lacrime e a metà tra ricordo e presente, si scagliò verso il suo burattinaio.





"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren