Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba II - Cap. 2: Un messaggio recapitato da lontano (parte 1)  (Letto 971 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
  • Epico
  • ***
  • Post: 8031
  • Karma: -17
  • Chi sono dei due? :D
    • Mai dire di no al panda!
2
Un messaggio recapitato da lontano


La guardavano tutti persi nella sua canzone: i loro grandi occhioni pieni di amore e speranza erano la ricompensa che amava ricevere e per al quale avrebbe cantato per tutta la vita… ed infatti era una vita, una vita intera che cantava per loro.  Ormai tutti in città la conoscevano per quello che era più che per quello che era stata perché quella che inizialmente era una missione, ora era qualcosa di più, qualcosa ad un livello superiore, qualcosa che la identificava.  Era tutto quello che aveva, rappresentava agli occhi del mondo e, soprattutto, ai propri occhi allo specchio, ogni mattina.  Così da sempre lei era semplicemente l’Usignolo di Stormwind o, per i più formali, la Matrona, la Mamma dei poveri bambini rimasti prematuramente senza genitori a qualsiasi titolo.  Accoglieva con un sorriso, un letto e un caldo abbraccio carico di amore i bambini disadattati cresciuti nei sobborghi della capitale, i figli di combattenti caduti, neonati abbandonati al suo uscio senza neppure un biglietto di scuse, bambini scappati di casa.  Tutti sapevano che avrebbero avuto riparo, sotto la sua ala protettiva e nessuno mai aveva osato anche solo pensare di sfidarla. 
Era protetta dal Creatore in persona, lo stesso Creatore che le aveva donato quella voce melodiosa e rassicurante, quel canto celestiale che calmava anche il pargolo più irrequieto. Aveva sempre avuto una particolare sensibilità coi bambini, una empatia fuori dal comune, che le permetteva di comprenderli, capire i loro bisogni, i loro problemi, i loro tormenti, senza neppure sentirli parlare.  Non avevano bisogno di altro che esserle vicino per trovare ristoro.   Era un dono.  La Matrona ricordava bene chi lo aveva definito così per la prima volta… chi lo chiamava il suo grande dono.  Anche la Matrona aveva dovuto compiere scelte dolorose, scelte che la maggior parte della popolazione della Capitale ignorava, così abituata a quel sorriso naturale… nessuno poteva sospettare che anche lei aveva sofferto, pianto l’amore perduto.   Ricordava di tanto in tanto il sorriso di quell’uomo che studiava alla Cattedrale per prendere i voti di paladino e che voleva che lei facesse altrettanto.  Quell’uomo aveva sentito qualcosa in lei, parlando con lei, osservandola coi suoi amati bambini e più e più volte le aveva spiegato che quel dono che con così nobile e disinteressato amore regalava ai più deboli, poteva essere destinato a grandi cose, nel nome del Creatore.  Quell’uomo la aveva supplicata di seguirlo nella sua crociata… soprattutto quando alla missione si era aggiunto un sentimento profondo che le aveva incendiato il cuore.  Quell’uomo, infine, aveva preso i voti, l’aveva pregata in ginocchio di sposarlo e di seguirlo nel suo pellegrinaggio, le aveva giurato eterna fedeltà, le aveva promesso una vita avventurosa, sotto l’aura protettiva del loro Creatore… e quando aveva scelto i suoi bambini a lui, se ne era andato… una vita ormai addietro.   Non importava, non più.  Era comunque felice e così cantava le sue canzoni, spesso inventate sul momento, risultato dell’estro, ispirazione fornitole dai piccoli che la circondavano e la sera, ogni sera, dopo aver dato la buona notte a ogni bambino sotto il suo tetto, pregava a lungo per tutti i bisognosi che non aveva raggiunto, chiedendo perdono per quel fallimento… ma la tristezza scaturita dall’idea di aver in qualche modo parzialmente fallito veniva spazzata subito via, quando avvertiva il coro di sospiri proveniente dalle stanze accanto alla sua: il sonno dei suoi amati bambini.
Era nata per questo, lo sapeva, come sapeva del resto di essere tra le poche creature al mondo a potersi addormentare la sera, magari esausta, ma soddisfatta e pienamente realizzata per aver risposto, ancora un altro giorno, alla chiamata, alla missione assegnatole dal Creatore alla nascita.
- Mamma, quante note ci sono in una canzone? – chiese Timmy sgranando due occhi neri come la notte ed avidi di conoscenza.  Timmy era stato lasciato all’orfanotrofio di poche settimane.  La Matrona sospettava che fosse nato nelle Piaghe dell’Est, i colori della copertina che lo avvolgeva e la sensazione di disagio che aveva provato quando la aveva sfiorata le sussurravano quella destinazione. 

il suo grande dono

- Oh, Timmy, rispose la donna giocherellando con i fiocchi che raccoglievano i capelli biondi di Gemma, le note sono solo sette, da sette note nascono infinite canzoni!  Come i petali di un fiore, sono sempre quelli, ma hai mai visto due fiori uno uguale all’altro? E chi sa i nomi delle sette note?-
I bambini si sbracciarono per rispondere e si azzuffarono tra loro: tutti volevano dare la risposta, tutti tranne Timmy, troppo impegnato a imparare, più che a mostrare quanto apprendeva.
- E come è fai a cantare canzoni sempre nuove, mamma? –
- Vedi Timmy, uso la fantasia: penso a te, a Gemma, a Fiore, a Emy e a tutti i miei figli e la canzone viene da sola. –
- Anche quando pensi a me? – chiese il più giovane della cucciolata, mettendosi un dito in bocca e fissando la Matrona con due occhi gonfi di lacrime.
- Ma certo, Sammy! Naturale! Anche quando penso a te! – e accarezzò il paffuto ragazzino.
- E come inventi la storia? – continuò imperterrito Timmy interessato.
- Ah beh, non è che ci pensi sempre.  Alcune storie si raccontano da sole. –
- Mmmm. – rispose poco convinto il bambino corrucciando la fronte, prima di voltarsi di colpo colto da un pensiero improvviso.  La Matrona amava come i bambini riuscissero a cambiare l’oggetto della loro attenzione così repentinamente.   
Così, liberata da Timmy, stava per riprendere a cantare quando venne raggiunta dall’ennesima domanda del bambino.
- Mamma, le case stanno per terra? -
La Matrona guardò con amore il suo piccolo Timmy.
- Ma certo, sono costruite dai grandi per far dormire i bambini come te al caldo.  Se fossero per aria come potresti entrare nella tua cameretta? Noi non possiamo volare! -
- Mmm, e allora i bambini di quella casa lassù come faranno a dormire stanotte? – chiese Timmy puntando il dito verso l’alto alle spalle della cantastorie.
- Ma no, vedrai che dormiranno… - una sensazione di freddo le bloccò le parole, come se due mani spettrale le avessero improvvisamente stretto i polmoni in una morsa.   
La Matrona si alzò di scatto e mise a fuoco la struttura sospesa proprio sopra il porto della città. 
- Come sei buffa mamma! – disse Fiore saltellando.  I bambini scoppiarono in una fragorosa risata cristallina, subito travolta dalle grida di terrore di ogni uomo e donna della capitale del regno degli uomini.

* * *

La discussione tra Jamila Proudmore e l’alta sacerdotessa Laurena era stata interrotta da un improvviso silenzio di entrambe.   Sia l’arcimaga che l’istruttrice avevano avvertito la stessa presenza nello stesso momento: la prima quella di un potente avversario, la seconda di una portentosa presenza malvagia. 
Senza indugiare, avevano lasciato gli alloggi della sacerdotessa e si erano precipitati nella navata principale della Cattedrale della Luce, incontrando anche gli altri religiosi, anch’essi di corsa verso l’esterno, ma richiamati non dalle loro percezioni, quanto dalle urla di terrore, presto sostituite dalle grida di dolore.
Non appena fuori le due amiche rimasero pietrificate nel vedere in cosa si era trasformata la piazza di fronte la Cattedrale: un campo di battaglia per la sacerdotessa; un mattatoio, per la maga.  Dal pavimento, dalle aiuole, vomitati nel mondo dei vivi dalle loro gelide tombe, uscivano uno dietro l’altro decine di scheletri non-morti, armati di spade, asce, mazze o anche senza alcuna arma stretta da quelle ossute ed affilate dita bianchastre. La pregiata pavimentazione aveva ceduto in più punti apparendo verso l’esterno come squame impazzite.   Dagli squarci continuavano ad uscire altri non-morti che si lanciavano contro chiunque capitasse loro a tiro.  Il sangue caldo delle prime vittime si allargava confondendosi col terriccio trasportato dalle creature sempre più numerose.
Laurena si guardava intorno come intontita, scioccata, incredula, poi i suoi occhi si soffermarono sulla Matrona che, soffiando nel suo fischietto più e più volte, cercava di attirare l’attenzione dei suoi bambini spaventati e non potè non notare il rigonfiamento del terreno alle spalle della donna.  Un attimo dopo le mattonelle esplosero e tre scheletri guerrieri emersero dal terreno emettendo i loro latrati.  Laurena puntò il suo bastone magico e pronunciò tre incantesimi in rapida successione.   Nove spade, tre per ogni creatura, uscirono dal terreno circondando ciascun non morto, poi delle catene dorate si sciolsero dalla prima e attraverso le altre due imprigionarono ogni scheletro all’interno della prigione evocata dall’incantesimo.
La Matrona prese per mano i bambini più grandi e con in braccio quello più piccolo si perse in un vicolo.
- Mio dio, Laurena… - la voce di Jamila era appena un sussurro, mentre fissava coi suoi penetranti occhi scuri la struttura sospesa all’altezza del porto.
- Dolce Creatore, Jamila… quello è Naxxramas… -

* * *


"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren