Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba IV - Cap. 2: Un messaggio recapitato da lontano (parte 3)  (Letto 891 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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  • Chi sono dei due? :D
    • Mai dire di no al panda!
L’Usignolo prese un lungo respiro, quindi, lanciata un’ultima occhiata al soldato alle sue spalle, si precipitò in mezzo alla folla, cominciando a spingere, a cercare un varco, un varco verso la salvezza.  Alle spalle, in pochi attimi, altra gente, altri sconosciuti, a loro volta impazziti dal terrore di essere fatti a pezzi dalla piaga che si stava scatenando sulla capitale.  La calca divenne terribile: la temperatura sempre più alta, il respiro le mancava e anche se immaginava che i piccoli stessero patendo un supplizio ancora maggiore, essendo più bassi della maggior parte dei fuggitivi, si obbligò a pensare solo al suo obiettivo.  Gridava, urlava, piangeva, spingeva con tutte le sue forze.  Una gomitata al costato le strappò il respiro e se non fosse stata letteralmente incastrata in quel marasma di corpi, sarebbe caduta.  Si riprese subito, grazie ad una manata di una donna dagli abiti variopinti e fini, solo troppo delicati per quella situazione e ridotti a brandelli.  Spinse con tutta la sua forza, con tutto il peso del suo corpo e colto uno spiraglio, si insinuò come un cuneo: doveva farcela, così gridando tutta la sua rabbia e frustrazione, riuscì a liberarsi e a cadere in avanti seguita da tutti coloro che la pressavano alle spalle. 
- A destra! – urlò e rotolò su un fianco trascinandosi dietro Sammy ed una Gemma a peso morto, priva di sensi.  Subito dietro Timmy e gli altri due orfanelli, miracolosamente scampati.   
La donna si ritrovò a pancia sotto: il freddo del pavimento di metallo le dette un brivido, ma ottenne anche il risultato di destare la piccola Gemma.  L’Usignolo si umettò le labbra e si guardò intorno: davanti a lei, oltre una delle innumerevoli fila di colonne d’acciaio, solo una ventina di metri fino alla passerella che dava sul sottotreno.   La Matrona valutò la situazione: il sottotreno era composto da quattro vagoni che altro non erano che quattro pedane di acciaio mosse automaticamente.  Sapeva che il treno sarebbe partito da lì a poco perché i lampeggianti posti sulle colonne erano sul giallo.   Aveva pochi minuti.  Il treno, infatti, non aspettava: si sarebbe messo in moto lentamente e non appena superato l’ingresso nella galleria, dopo aver attivato lo scudo, avrebbe guadagnato velocità.  Niente soste, nessun modo per fermarlo: se lo avesse perso avrebbe dovuto aspettare quello successivo, ma vista la situazione all’esterno, non poteva permettersi un simile ritardo.  La folla si riversava nella stazione come un fiume alla sua foce nel mare.  Tonfi sordi, provenienti dall’esterno, infatti, erano uno sprono più che sufficiente per ricordare a tutti che il pericolo non era scampato e che le fameliche creature non-morte erano ancora là fuori ed ancora in cerca di prede.  Senza criterio né ordine il sottotreno venne preso d’assalto: la gente che già vi era sopra si ritrovò a dover fronteggiare l’ondata di marea dei nuovi arrivati e mano a mano che la calca aumentava, aumentava il numero di quelli che venivano scalzati, schiacciati, scaraventati fuori dal treno, unico modo per lasciare la città rapidamente.
La donna si rimise in piedi, si assicurò che i suoi protetti fossero pronti e ricordando loro che anche da soli avrebbero dovuto restare sul treno a qualunque costo, iniziò a correre, evitando come fosse un percorso ad ostacoli, i corpi calpestati e agonizzanti a terra così come i cittadini in fuga verso la medesima meta.
Le luci lampeggianti passarono sul rosso proprio quando raggiunse il terzo vagone, quello più scarico.  Una sirena lanciò il suo fischio: il treno stava per ricominciare la sua corsa.
- Restate con me! – urlava la donna spintonando in tutte le direzioni.  Il pigia pigia aumentava come le grida di coloro che erano ancora a terra.
Una madre in lacrime sollevò il suo bambino che non poteva avere più di due o tre anni, chiedendo pietà almeno per lui, ma nessuno neppure udì la sua supplica.  In diversi presero la rincorsa e si lanciarono letteralmente verso i vagoni, riuscendo talvolta a restare a bordo, talvolta scivolando sui passeggeri e ritrovandosi dall’altra parte, ma a terra.  Il quarto vagone, quello più in linea con l’ingresso, venne preso d’assalto anche da alcuni soldati che, abbandonato il loro giuramento fuori dalla stazione, con violenza inaudita si fecero largo, scaraventando a terra i primi malcapitati che si trovarono davanti.  Infine il treno iniziò a muoversi.
Le grida aumentarono: quelle di coloro che erano ancora a terra; quelle dei passeggeri che dovevano lottare per restare a bordo.
La Matrona, stretti i suoi bambini a sé, difendeva il loro diritto alla salvezza con ogni mezzo: aggrappandosi per non cadere, graffiando chi la minacciava, scalciando, picchiando, piangendo, gridando, ma nonostante lo sforzo e il dolore, un sorriso le si allargava sulle labbra: una volta superata la galleria, anche se stretti, niente avrebbe impedito loro di raggiungere la capitale dei Nani a Dun Murog.  Guardò in basso i suoi bambini tutti stretti in grembo e questo le fu fatale: l’ennesima gomitata la raggiunse al viso, fratturandole il naso.  Sentì il calore del sangue che scorreva dalla ferita, mentre senza controllo si sentì il capo girare.  Vide le luci gialle del soffitto scorrere sempre più velocemente, poi l’ennesimo spintone, ma questa volta non era pronta.  Bastò un attimo: i sensi annebbiati, le vertigini, la calca, la spinta dell’ennesimo disperato, la confusione.  Avvertì come in un sogno quello che stava succedendo, ma proprio come in un sogno non riuscì a reagire, ma solo a registrare l’evento: dal centro del vagone scivolò verso l’esterno, trascinandosi i suoi fardelli con sé e quando raggiunse il bordo, capì che se lei era ancora sul vagone, il peso sempre maggiore che la tirava verso il basso, che premeva sulla gamba destra, significava che qualcuno non lo era più e che si aggrappava a lei proprio come lei prima si era aggrappata ad altri sconosciuti.  Come a rallentatore la Matrona abbassò gli occhi e incrociò lo sguardo terrorizzato di Gemma, sospesa tra il vagone e i binari, nel vuoto, aggrappata con tutte le sue forze, prima di perdere la presa e ruzzolare una, due, tre volte a terra. 
Sgranò gli occhi e le labbra si schiusero in una espressione di orrore, poi si gettò con tutta la sua forza per seguire la sua bambina, la sua figlia che in ginocchio, piangendo, guardava proprio lei, la sua mamma.  La barriera però la respinse all’indietro.
- NOOOOOO! – cominciò a picchiare contro la barriera magica arrivata pochi attimi prima, mentre il sottotreno guadagnava velocità perdendosi nella galleria.  Sicuri di non poter cadere più, gli altri passeggeri si erano calmati e, abbandonati alla stanchezza, ma anche alla tristezza per quanto si stavano lasciando alle spalle, osservavano silenziosi quella donna che da sempre era stata simbolo di allegria, serenità e gioia per la Capitale, impazzita di dolore che, incurante delle ferite che si stava provocando senza alcun risultato, proseguiva a colpire e colpire la barriera opaca che proteggeva i vagoni ormai lanciati a tutta velocità verso la loro destinazione.
- Mamma? – sussurrò Timmy, ma la donna non lo vedeva, né sentiva, persa negli occhi della sua bambina dai riccioli d’oro rimasta alle sue spalle, sola, e che a braccia spalancate cercava il suo aiuto.

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren