3
Tutte le frecce nella faretra
Folgorello annusò un cespuglio d'erba verde ancora brinata. Il profumo era forte e evidentemente piuttosto piacevole per l'animale che nitrì con soddisfazione un attimo prima di strapparlo con un morso dal suolo e mandarlo giù soddisfatto. Si voltò lentamente e seguì la mano del padrone che gli accarezzava con affetto il crine. Era con Sceiren da anni ormai... molti anni. L'elfo sorrise al suo cavallo, poi lo grattò tra le orecchie con indubbia beatitudine del compagno. Quella per lui sarebbe stata probabilmente l'ultima avventura.
- Ho ridotto il peso al minimo e anche di meno, grazie a qualche trucchetto. - sussurrò all'animale che come capendo nitrì in segno di approvazione.
Il mago tornò sui suoi passi, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle è rientrò in casa.
Gàia stava ascoltando Antera con attenzione. Sceiren intuì che l'elfa stoicamente stava registrando per l'ennesima volta le solite raccomandazioni di Antera che instancabile ripeteva e ripeteva forse più per convincere se stessa che aveva detto tutto che non per assicurarsi dell'altrui comprensione.
- Antera, è ora. - e sorrise a Gàia che con la proverbiale inespressività degli elfi dei boschi più profondi non dette nulla da vedere, anche se il mago sapeva bene che aveva apprezzato il suo tentativo di chiuder e una volta per tutte la discussione.
Infine l'agognato epilogo e il classico - Ho compreso tutto, Maga Antera -. Non c'era altro da aggiungere se non la parte davvero difficile.
- Nonno Sceiren! Nonno Sceiren! - Illentar sbucò come un furetto dalla sua tana, sgattaiolando da dietro la druida e evitando l'abbraccio della maga per lanciarsi tra le braccia del nonno. Sceiren sorrise e lo sollevò al cielo: la luce del sole si confuse coi capelli biondi del mezz'elfo. La sua risata argentina, i suoi occhi chiusi e le sue braccia al cielo. Sceiren focalizzò bene il tutto: i colori, le forme, i suoni, tutto quello sarebbe stata la sua arma più letale, la sua ancora di salvezza. Non aveva cosa più preziosa al mondo. Anche Antera aveva accettato di essere al secondo posto per lui, ma del resto Illentar aveva surclassato per lei lo stesso Sceiren. Era l'ordine delle cose.
- Nonno, mi porti un regalo! -
- Naturale! Un regalo che non dimenticherai, piccolo mio! Vedrai! Ma ora dai un bacio al nonno ed alla nonna, un bacio portafortuna! - E si chinò per ricevere l'abbraccio più speciale.
Antera osservò i due e si sentì mancare, ricacciò in gola il pianto e con un sorriso stampato in viso si chinò in attesa del suo turno. Illentar non si fece attendere e con un salto scomparve nell'abbraccio della nonna.
- Comportati bene, ascolta Gàia e non fare tardi guardando le stelle. -
- Va bene... - rispose senza convinzione il bambino, poi la maga si alzò eretta, afferrò il suo bastone e senza voltarsi indietro montò sul suo bianco destriero seguita da Sceiren e dal suo Folgorello.
I due al trotto lasciarono la casetta nei boschi puntando a Nord. Il treno attendeva.
- Un mago che ha paura di volare? Non ci posso credere! - e scoppiò a ridere fragorosamente. Lo stalliere dei grifoni fissava il nano che rotolava dalle risate urtando le botti cariche di carrube e ghiande fresce, il cibo preferito dei grifi da medie percorrenze.
- Non lo trovo divertente... non sei divertente! - biascicò Zaltar dando un calcio al compagno che non voleva smettere di ridere.
- Beh, io vi aspetto dall'altr parte. - disse Zigho, pagando lo stalliere e montando in groppa al maestoso grifo. L'elfo afferrò saldamente le briglie, si piegò fino a sfiorare le penne nocciola del collo dell'animale, quindi con un cenno del capo attese la partenza. Lo stalliere si avvicinò e controllato che lo zaino fosse ben fissato al passeggero, prese il fischietto che aveva al collo e se lo portò alle labbra. Zaltar ebbe un brivido. Odiava quel momento, anche quando non toccava a lui. Il decollo era spaventosamente a scossoni. Un sibilo echeggiò sulla torre dei grifi di Aeris Peak e prima che il suono fosse svanito, l'enorme creatura aveva già spiccato il volo puntando alla meta.
- Zaltar... non devi avere paura... è normale per i grifi volare... - ma Lore era un pessimo attore e July a terra non si lasciò sfuggire l'occasione per tornare a ruzzolare in preda a spasmi.
- Piantala! Piantatela! Ora vi faccio... Salgo io! - E superò Selune e July in fila prima di lui.
- Aspetta il tuo turno, o hai fretta di avvicinarti a Dio! - concluse quasi fosse una preghiera il prete prima di scoppiare a ridere e riprendere a ruzzolare a terra in preda alle risate.
- July! te lo faccio vedere io! Allora ma quanto ci vuole per partire!! -
Lo stalliere senza alcuna inflessione mostrò il palmo della mano, poi aggiunse mestamente: - 5 monete di argento, per te 4 se parti subito . -
- Beh, è ovvio uno sconto, sussurrò Lore passando una mano sulla spalla di Zaltar ed una su quella dello stalliere, prima parte lui prima riprende il lavoro normale per te! - Inutile dire come presero l'ennesimo scherzo il nano a terra.
Sella: ben stretta; redini: afferrate; puzza: di pennuto sudato; libro degli incantesimi: assicurato con doppio nastro dietro la schiena; zaino: in spalla; bastone del mago: bel legato. Solo qualche ora di volo a decine di metri dal suolo, tra le nuvele e tutto sarebbe finito. Il nano, frattanto, si era alzato ed ora con le braccia conserte contemplava la dipartita dell’amico.
- Pronto? - chiese ritualmente lo stalliere.
Zaltar fissava dritto davanti a sè, quasi in trance.
- Ah Zaltar, una cosa!, gridò Lore saltellando tra il grifo e lo stalliere, Se proprio devi vomitare... NON FARLO CONTROVENTO! - E tra gli improperi del mago, le risate del nano e l'applauso del resto della fila il grifo prese la rincorsa e si lanciò nel vuoto dalla torre dritto verso la meta.
Rintocchi di una lontana campana. Il silenzio della valle interrotto dalle grida dei soldati, dalle urla della gente, dai ruggiti dei non morti. Rintocchi di una lontana campana.
Lùce si affacciò al monastero e fissò il sole morire dietro le colline delle Piaghe dell'Est, la valle maledetta di Stratholme, la città infestata, la valle difesa senza sosta dai paladini della luce, il braccio armato della fede che come argento vivo, erano nati per purificare dal male persino simili lande; ma Lùce conosceva bene quale fosse il vero volto del male e proprio per questo era consapevole che nemmeno la più forte delle luci avrebbe mai potuto cancellare le ombre dal mondo... Sorrise e scostò un ciuffo di capelli dalla fronte color cenere. Mise a fuoco la sua immagine riflessa sulle spesse vetrate del monastero: color della cenere ora, color delle rose, prima; ombra di ciò che era, adesso, faro di speranza, un tempo. Cosa era diventata. Ombra, a dispetto del suo nome, a dispetto del credo dei suoi avi, a dispetto di ciò che aveva predicato per anni e anni... riflesso oscuro di una esistenza volta al bene.
- Lùce, la carovana è pronta. Dobbiamo andare prima che faccia veramente notte. Non ho voglia di imbattermi in qualche "sorpresa" prima della Cappella. Ma possibile che voi donne siate sempre le ultime! - Bryger entrò con passo deciso, ma prima di lui, entrò nella grande sala circolare in cui Lùce attendeva il tintinnio della sua armatura a piastre argentata.
- Beh? E quindi? Non mi hai sentito? Dov'è il tuo zaino! Forza! -
La sacerdotessa si voltò verso l'amico e sorrise, sorrise come un tempo, poi annuì al paladino. Bryger ridacchiò e le si avvicinò. La circondò quasi per proteggerla, per quanto un nano potesse cingere i fianchi una donna alta quasi il doppio di lui.
- Pronta? -
- Sì. -
- Alla Cappella ci aspetta l'evocatore pronto per teleportarci a Ironforge. Da lì una bella cavalcata e saremo al punto d'incontro con gli altri. Come ti senti? -
- Ci sarà Rore? -
- Sì, ci sarà anche lui, Lùce. -
La ragazza si strinse nell'abbraccio del paladino e avvertì un tremito in fondo al cuore, qualcosa che riteneva aver messo da parte molto tempo fa.
- Cosa devo fare, Bry? -
L'amico si passò una mano nella barba e sospirò, poi lentamente rispose: - Vivere. -
Lùce sentì due lingue incandescenti solcarle le gote. Piangeva. Non doveva, non poteva più farlo, ma tra le braccia di Bryger pareva essere tornata quella di un tempo... la sacerdotessa di un tempo... che un tempo era morta. Sepolta. Sgranò gli occhi e si irrigidì. Con pochi rapidi movimenti si districò dall'abbraccio del compagno al quale voltò le spalle e fissò le lande desolate delle Piaghe dell'Est. Espirò rumorosamente.
- Lùce? -
- Sono pronta. - glaciale, dura, implacabile. La destra serrata sull'elsa della sua arma preferita, la sinistra rilassata, lungo i fianchi. Un sorriso quasi diabolico sul viso color della cenere. Bryger sapeva che la maschera d'ombra che aveva abbracciato per resistere alla morte esigeva il suo tributo... così come sapeva che era un suo fardello tenerla d'occhio, assicurarsi che non oltrepassasse mai il limite... che non divenisse mai ciò che sia lei che lui avevano da sempre combattuto.
Una mezz'ora più tardi una sacerdotessa dell'ombra ed il suo guardiano oltrepassarono un portale oltre il quale, traballante come il fondo di un lago riflesso dalla sua superficie, le colonne di pietra di Ironforge attendevano i nuovi arrivati.
Albina era sempre stata in anticipo agli appuntamenti. Sia quando si trattava di amici che, soprattutto, quando si trattava di nemici. Riteneva che arrivare prima del proprio avversario, alleato o nemico che fosse, le dava un vantaggio incolmabile. E visto che lei era ancora viva mentre molti altri appartenenti alle due categorie l'attendevano nell'oltretomba, i fatti le davano spaventosamente ragione.
Thorium Point non era cambiato quasi per niente negli ultimi vent'anni. Le due torri di acciaio che si alzavano verso il cielo erano ancora li, anche se in più punti arrugginite dal tempo, ma la Fratellanza del Thorio era ancora presente, in bancarelle tutt'altro che ospitali tutto intorno alla piccola piazza dove più e più volte aveva atteso i suoi compagni avventurieri. Il vento portava l'aria polverosa del deserto e la puzza di fumo delle forge presenti nel sottosuolo le riempiva i polmoni. Si sentiva a suo agio. Da quello che sapeva l'inferno non doveva essere poi così diverso e i suoi demonietti, i suoi servi, amavano quella puzza nauseabonda... l'avrebbero servita bene.
La polvere rossa sollevata dal vento bollente della Searing Gorge penetrava in ogni dove. Non v'era protezione che potesse tenerla fuori, proprio come il cattivo presentimento che serpeggiando si faceva strada sempre più nella testa, nel cuore, fin nel profondo della sua anima. L'uomo si strinse nella sua veste, poi il sapore di ferro e ruggine gli dette il voltastomaco. Sputò nella terra rossa e anche il cavallo ebbe un sussulto. Odiava quella valle e non vedeva l'ora di lasciarle. Aveva ricevuto il messaggio di Sceiren poche settimane prima e ancora oggi si chiedeva coma mai avesse chiesto proprio ad uno come lui di seguirlo... ma forse la follia del piano del mago necessitava compagni folli per riuscire... folli e pericolosi. E non vi era una descrizione più adeguata per qualificarlo: pazzo, pericoloso. Era di lui che si parlava qui. La figura allentò le redini quel tanto che bastasse alla bestia che cavalcava di riprendere la lenta andatura su quella sorta di sentiero che mal si avvicinava alla sua idea di strada. La Searing Gorge era una terra pericolosa e poco battuta... almeno poco battuta dagli uomini, ma molto di più da altre creature. Venne colto appena da quel pensiero, appena prima di sentire il latrato di un tipico abitante della zona.
Il cavallo nitrì nervosamente sentendo la vicinanza della creatura, ma il suo cavaliere non tradì alcuna emozione: tirò le redini e senza proferir parola intimò alla bestia di non fermarsi.
Poi quelle sillabe tutt'altro che amichevoli urlate nel vento che spirava sempre più impetuoso dalle sue spalle. Erano orchi, almeno tre con altrettanti cinghiali infernali al loro seguito.
Il cavallo, nonostante abituato a portare un così scomodo fardello, non sopportò anche quello e iniziò a innervosirsi fino a quando le redini non furono strattonate. Lo avevano fatto innervosire. Avrebbero presto conosciuto il suo nome senza che avesse avuto bisogno di pronunciarlo perchè qualunque fosse la loro lingua, il significato sarebbe presto stato loro più che noto ed indelebile, marchiato a fuoco sulle loro carni ormai esangui: Pena.
Pantheoni e Tempesta si arrestarono di colpo. Il prete pronunciò due sillabe e una luce dorata lo circondò isolandolo dalla minaccia che evidentemente lo attendeva poco più avanti mentre la gnoma saltò giù dalla cavalcatura del compagno circondandosi a sua volta da una barriera di ghiaccio impenetrabile.
- Non sapevo avessero aperto una latrina da queste parti! - disse da dentro il suo blocco di ghiaccio al suo alto compagno la gnoma stingendosi con le manine paffutelle il naso e contorcendo il viso in una miriade di espressioni di disgusto che il prete non avrebbe creduto possibile per un volto normale.
- Ma quanti muscoli avete nel viso, voi gnomi! -
- Maestro, vi prego, abbiate pietà... ponete fine alle mie sofferenze! Non resisto! -
Pantheoni annuì più all'idea di "scappare" da quella putrida massa di carne in putrefazione e dalla puzza nauseabonda per raggiungere il luogo d'incontro il prima possibile.
Così senza nemmeno dare una risposta saltò in groppa al suo destriero e porse la mano alla sua insolita compagna.
- Grazie, maestro! -
Disse la gnoma che saltellando poneva fine all'incantesimo e attraversando il ghiaccio ormai simile ad un velo afferrò la mano del prete e riprese posto dietro di lui.
- Quando la finirai di prendermi in giro! -
- Chi mi salva la vita merita il mio rispetto e chi meritava il mio rispetto era il mio povero maestro! Pertanto...-
- Pertanto continuerai a prendermi in giro...-
- Non è colpa mia se per far fuori un cinghiale hai bisogno del mio aiuto anche se muori di fame! -
- Non è colpa mia se a momenti quel cinghiale a momenti ti faceva a pezzi e ti ho dovuto salvare la vita! -
- Dettagli! -
Pantheoni scosse il capo poi, guardingo, si avvicinò alla massa putrescente e nauseabonda che si parava loro davanti: ossa spezzate, giallastre, carne putrefatta, forme indistinte.
Il prete scosse il capo reprimendo un conato con la forza che solo la fede può conferire ai mortali. Una maledizione, istantanea, letale. Non poteva essere che questo.
Senza perdere tempo rimontò in sella e senza nemmeno registrare le parole della sua compagna, ripartì al galoppo verso la meta: non era ancora il momento di dare inizio alle danze, soprattutto contro una minaccia sconosciuta.
Essere diversi era difficile, essere emarginati anche di più e l'arte oscura permette a chi la pratica di sperimentare entrambe le cose costantemente. Araton non aveva scelto quella strada per piacere, ma per vendetta, tuttavia non si sarebbe mai aspettato che il destino gli imponesse di portare per mano qualcun altro in quella direzione. Era un warlock di Stormwind, comunque, e il suo Ordine aveva la priorità sulle sue scelte. Sapeva di alcuni suoi pari che avevano rinnegato l'ordine e che ora erano mine vaganti, sull'orlo della follia, letali e pericolosi, ma non ambiva a quel genere di cose. Se quello era il prezzo dell'indipendenza, preferiva restare vincolato alle regole... ed ora quelle regole gli imponevano di fare scuola a uno gnomo che come lui combatteva per vendetta. La vendetta può essere un'ottima motivazione, purchè non lasci che ti divori e Soncritters rischiava ad ogni scontro di commettere l'errore fatale che lo avrebbe ricongiunto al padre scomparso e, secondo Araton, morto da tempo.
La chiamata di Sceiren era stata una sorpresa, soprattutto quando aveva scoperto poco prima di partire che anche Albina era stata convocata, nonostante la sua indole. Araton sapeva del legame di amicizia tra l'elfo e la donna, tuttavia non aveva mai compreso fino in fondo su quali basi potesse una creatura amante della vita essere compagna di viaggio con la propria nemesi.
L'evocatore oscuro scacciò il quesito al quale non avrebbe avuto risposta e si concentrò sullo gnomo taciturno al suo fianco. Era inusuale vedere uno gnomo così silenzioso così come era inusuale quella convocazione. Poco male. Ancora un giorno e i suoi dubbi li avrebbe palesati a Sceiren... ne aveva fin troppi.
Il vento scosse i capelli bianchi dell'evocatore che grattandosi la barba incolta, annuì al grosso cartello che indicava la direzione da seguire: Thorium Point, dieci miglia. Sarebbe arrivato al tramonto, salvo rallentamenti.