Dopo un po' di pausa, ecco il prossimo capitolo!
Buona lettura!
7
Impatto
Un terremoto scosse il suolo della Searing Gorge quando la spedizione lasciò Thorium Point e si riversò come un'onda di marea verso la valle sottostante. Il nome di quei luoghi discendeva da un antico dialetto parlato dai nani oscuri che ancora lavoravano il thorium nella gigantesca miniera che sprofondava nell'oscurità nel centro della valle. Il termine, distorto dal tempo e dalle molteplici traduzioni, significava Gola Bruciante, e il motivo per cui i nani di allora la definirono a quel modo era evidente ancora oggi a tutti coloro che vi mettevano piede: la polvere di ruggine inalata era come brace nella gola.
Il gruppo, era capitanato da Selune, in groppa al suo bianco destriero, subito dietro Nadìr e July, poi Roredrix, Wayscraper, Whitescar, Sceiren, un gurppo di una diecina di nani assoldati dal mago per tenere al sicuro le cavalcature durante la spedizione, poi via via tutti gli altri.
Poco distante, nelle retrovie, Zigho, Lore e Shaday seguivano il gruppo, tenendolo di fatto al sicuro da possibili attacchi alle spalle.
Davanti alla compagnia, il sentiero che costeggiava la miniera chiamata ormai da secoli Il Calderone, le numerosi torri ricoperte di ruggine, le travi, le carrucole, una struttura davvero impressionante in continuo movimento. I nani dovevano essere sotto la superficie, ma i meccanismi che muovevano dalla loro posizione erano tutti in funzione creando un gioco di forme e ingranaggi affascinante per certi versi, terrificante per altri.
- Ammirevole,davvero ammirevole! Dico, ma... dico: vi rendete conto che solo un genio, nano ovviamente, avrebbe potuto creare un simile spettacolo! Davvero stupefacente! - July si guardava a destra e sinistra, era davvero colpito.
- Già... una ammirevole ferita. Immagino che voi nani non vi rendiate conto che quella... "cosa"... non è altro che una cicatrice a cielo aperto. - gli rispose asciutto Nanael disgustato.
- Cicatrice? - si impastarono le parole in bocca al nano dopo quella mancanza di rispetto.
- Beh in effetti non è proprio bellissima... però non si può non riconoscere la complessità e l'ingegno per tirar su una struttura del genere. Guardate quelle carrucole: trasportano di sotto la gente... come una sorta di passerella mobile... molto ingegnoso. - Roredrix urlava per farsi sentire.
- Anche se umano almeno riconosci l'arte quando la vedi! - continuò imperterrito July.
- Arte? - fece eco con poca, pochissima convinzione Nadìr.
- Sì vero!: arte di nano, arte di villano! - canzonò Tempesta al posto sbagliato nel momento sbagliato. Il gruppetto di testa aveva rallentato l'andatura a causa della discussione e, progressivamente, altri membri della spedizione li avevano raggiunti. Tra questi vi erano Pantheoni e la sua, soprattutto in quell'occasione, assai scomoda passeggera.
- Villani! Gnoma, cosa vorresti dire! - Il Nano tirò le redini del suo montone da guerra, ma così non fece il prete che, come prevedendo cosa stesse per succedere, accelerò arrivando quasi di fianco a Selune e lasciando July indietro.
- Torna qui gnoma!! Torna qui! Non temere, prima ti faccio assaggiare la mia mazza e poi ti rimetto in sesto prima di entrare nel vivo!! -
- Andiamo July, rilassati... -
- Sta zitto elfo! - rispose secco a Sceiren il nano ancora su tutte le furie.
- Andiamo, conservate la mazza e le cure, ne avremo bisogno! Ora muovetevi! - come sempre Selune richiamò all'ordine e allentando le redini riprese la velocità iniziale.
Al di là dei punti di vista discordanti, chi davvero era quasi in estasi di fronte a quello spettacolo, a quegli sbuffi di fumo incandescente che, come lava, esplodevano dalle profondità della miniera e si disperdevano nel cielo vermiglio immobile sopra di loro, era Albina: Araton non la perdeva mai di vistà anche perchè, in più di un occasione, quando la traiettoria della carica avvicinava lo squadrone al Calderone, aveva avuto come la sensazione che l'evocatrice fosse lì lì per lanciare quell'incubo di destriero dalla criniera di fuoco e dal color della cenere incandescente nel baratro avvolto da quell'aria malsana. Come Araton, ma per tutt'altri motivi, anche qualcun altro lasciava di fatto la propria cavalcatura a sè stessa, completamente assorbito dallo spettacolo atipico dell'evocatrice: Pain non distoglieva un attimo gli occhi da lei. Non aveva accettato l'invito di Sceiren solo per amicizia, quella ormai era brace, brace ardente, è vero, ma sotto una pesante coperta di cenere, cenere che riempiva tutto se stesso, dalla pelle alle ossa, dall'anima alla mente. No, non aveva fatto tutta quella strada solo per bontà d'animo, oh no, Pain non aveva accettato di buon grado l'ingaggio nè per denaro nè tantomeno per fama, ma solo perchè quella missione gli avrebbe permesso di concludere il suo cammino, lo stesso cammino che ben presto lo avrebbe realizzato, staccandolo dal
suolo dei mortali per permettergli di raggiungere le profondità stesse degli inferi che conosceva così bene. Così, colto da un'improvvisa impazienza, incitò il suo destriero infernale a correre più rapidamente, superò Albina e, lanciato, puntò alla testa del gruppo: presto avrebbe avuto la sua occasione e di certo non se la sarebbe lasciata sfuggire.
Un'ultima collina di roccia e polvere venne battuta dallo squadrone. Nessun orco o altra creatura osò avvicinarsi: la terra tramava sotto la marcia incessante degli avventurieri, tremava, o fremeva nell'attesa di sentire tanto potere tutto concentrato nello stesso posto, un potere immenso fratturato in una miriade di schegge tenute assieme da una missione, da un ideale, da un obiettivo... obiettivo finalmente visibile: la terra lasciò il passo ad una serie di lastre di legno consumato dal tempo e dai colpi di migliaia di zoccoli che da anni ormai le calpestavano, ancorandole sempre più in profondità al terreno. Poi, proprio quando la leggera salita diventava pianura, il sentiero finì, contro la parete imperiosa della catena montuosa di Blackrock.
- Ci siamo, ci si ferma qui. - disse più a se stesso che al gruppo Selune. Il paladino alzò la mano la strinse in un pugno in modo che tutti vedessero. Il rombo divenne fruscio, poi quasi quiete e mentre nella valle echeggiò fino a disperdersi il tuono provocato dagli zoccoli delle decine di cavalcature, la missione entrò nel vivo.
Quasi all'unisono Selune, Whitescar e Bryger accarezzarono le loro lucenti cavalcature donate dal Creatore stesso ai suoi cavalieri della fede, intonarono una preghiera di ringraziamento prima di salutarli e lasciarli sfumare in uno sbuffo di luce sacra. Poco lontano dal gruppo, con tutt'altro spirito, Albina da un lato, Pain, dall'altro, "salutarono" i propri servi fiammeggianti. I due evocatori liberarono dal suplizio i due schiavi che quasi ruggendo in una folata di fumo dall'acre sapore di zolfo scomparvero.
I nani presero le redini delle cavalcature che non potevano essere semplicemente evocate.
Antera fissò con un misto di stupore, impazienza e timore i due enormi monoliti scolpiti nella notte dei tempi in due volti duri come roccia. La fissavano, proprio lei, ammonendola: oltre quei due guardiani sarebbe stata sola, sola nelle mani della propria magia e in quella dei suoi compagni. Il cuore della maga mancò un colpo al solo pensiero di Illentar che giocava nel parco di casa sua, poco lontano da Goldshire, in attesa del suo ritorno.
La sua fonte era stata eloquente sulla sua unica possibilità, non poteva avere ripensamenti, cedimenti o paura. La vecchia maga serrò la mascella ed afferrò il bastone assicurato alla sella della sua pezzata. Era anni che quel bastone non vedeva la luce. Antera armeggiò per qualche istante col laccio che celava la sua arma, poi lasciò cadere nella polvere la stoffa che la custodiva e strinse l'asta finemente lavorata del suo Bastone del Dominio, prima di piantarlo nel terreno.
Sceiren fissò l'arma della maga, poi, quasi avesse percepito i suoi pensieri, scacciò la paura che provava per sua moglie e per quell'impresa, e estrasse dal fodero la sua spada. Come acqua che scorreva tra i sassi di un ruscello intonando una canzone, la sua lama liberò nella valle un suono incunsueto e fuori luogo, un suono cristallino, nitido, puro, puro come l'azzurra acqua di una cascata, come la pioggia, come la vita stessa. Gli elfi la chiamavano LuinLindele, che letteralmente nella lingua degli uomini significa La Canzone Azzurra. Sceiren amava quel suono perchè gli ricordava che nel creato ogni cosa scorre, inesorabilmente, dalla nascita verso la morte.
Ma di certo non erano i due maghi i soli che iniziavano a prepararsi: poco distante, Yukina aveva afferrato l'arco ricavato dalla spina dorsale di un gigantesto Firewalker. si diceva che ogni freccia fosse come una scheggia infuocata che trafiggesse la preda. Se da un lato Yukina pareva pronto alla guerra, paradossalmente Zigho era in pace. Fissava con un sorriso un bastone composto da tre frammenti di legno, scuri, come appena staccati da una quercia. Il pezzo più lungo al centro e gli altri due fissati con una sorta di nastro argentato in cima in basso. L'asta terminava con una punta di un metallo simile all'argento, probabilmente mithil. L'elfo, accarezzò l'arma, poi sussurrò alcune parole, simili ad una canzone ed afferrò la sua arma prediletta. La corteccia ebbe un sussulto nelle mani del suo possessore, poi da infiniti germogli presero vita infiniti rampicanti che corsero rapidi su tutta l'asta. I due pezzi più corti, tesi dal verde rampicante, si deformarono formando una mezzaluna. Infine, da una estremità e dall'altra, come inseguendosi, due steli si cercarono infine trovandosi al centro. Zigho, sorrise ancora al suo Rhok'Delar, poi fissò l'entrata del labirinto: era pronto.
La semplicità dell'arma dell'elfo era un contrasto con il luccichio del martello da guerra del paladino poco distante. La leggentaria Mano di Ragnaross frantumava la luce come le ossa dei propri avversari. Le leggende che avvolgevano quell'arma erano molteplici e distinguere la realtà dalla fantasia ormai era impossibile. Poco distante Lùce aveva afferrato il simbolo stesso del suo potere. Il paladino aveva fatto di tutto per impedirle di raggiungere quell'arma, dopo i fatti che l'avevano vista cadere, tempo prima, proprio in quelle catacombe, ma la sacerdotessa aveva agito nell'ombra e dalle ombre aveva estratto la sua portentosa arma: Anathema.
Se l'attacco era importante, Nanael sapeva, dal canto suo, che non bastava la forza bruta per vincere una battaglia, quanto piuttosto saper anche incassare i colpi che, sicuramente, puntualmente piovevano sulle loro teste. Indossò la sua armatura cerimoniale che, tuttavia, a differenza delle credenze comuni, era tutt'altro che inutile in battaglia. Nanael lo sapeva: la natura poteva essere dolce come una madre, o terribile come la rabbia stessa della tempesta e proprio questo sentiva sotto la pelle quando indossava quel completo permeato di magia.
Armi, armature, frecce, pugnali, spade, mazze, bacchette. L'energia scaturita da quel concentrato di potere e magia era tangibile anche da lontano e impattava come la luce del faro di Westfall nella notte più nera, come potrebbe il martello contro l'incudine nella Grande Forgia di Ironforge o come la disarmante bellezza del tempio della luna di Darnassus sui boschi circostanti.
Lentamente Selune passò in rassegna tutta la sua squadra: erano pronti. Attese che Lore, Shaday e Zigho prendessero posizione di copertura per evitare sorprese durante il teletrasporto che presto avrebbero affrontato e che li avrebbero, per pochi istanti, visti indifesi; poi, con passo sicuro, superò i due monoliti e si diresse al suo appuntamento col passato.